Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
02/07/2023 06:00:00

Il tempo che rimane

 Sentirsi come un mobile di Calder, una di quelle sculture aeree leggerissime che rispondono a pesi e contrappesi e al minimo variare di vento umidità, sono altro. Bellissime, mai fisse in divenire costante e continuo a volte monocrome altre con colori vivi, assumono forme secondo natura.

Ieri mattina sveglia come sempre all’alba, luce sommessa ( convinto fosse molto presto ), un sottofondo musicale quasi piacevole di pioggia fitta leggera poi monsone tropicale. Da maggio è una costante di questa finta estate, umidità sole che ti piega in due acqua battente e improvvisa.

Tutto secondo natura, e prendi le misure a questi cambiamenti di temperatura di stato d’animo di che scarpe indossare per uscire e non rassegnarti ad utilizzare l’ombrello - oggetto ingombrante, umido poi e con le piogge improvvise e violente di alcun aiuto allo scopo - .

Dei tanti saggi che leggo in contemporanea, incline alla noia (forse è anche questo uno dei motivi della fatica di leggere romanzi), ho terminato Il tempo che rimane di Filippo Landi per i tipi di hopefulmonster: giornalista, amico, corrispondente Rai tv ha seguito da Sarajevo al Ruanda, dal Kuwait della prima guerra del Golfo al Kosovo e alla Croazia, le più importanti aree di crisi degli ultimi trent’anni. Una voce un volto che ci ha accompagnato con tante corrispondenze a conoscere storie, e chissà come dopo tante insistenze ci ha regalato alcuni suoi ricordi di una vita passata a raccontare

non esiste un libro perfetto. Se mai esistesse non sarebbe questo che vi trovate tra le mani. Qui non ci sono tutte le persone che ho incontrato nella mia vita e nel mio lavoro. A cavallo tra Roma e il resto del mondo. Ovviamente, quando dico incontrato, intendo qualcosa di diverso da una fugace conoscenza. Sono dunque persone, uomini donne, e perfino animali, che hanno insegnato a me, e forse a tutti noi, qualcosa da non abbandonare nell’oblio”. F.L.

L’inizio è con il 1991 con la guerra in quella che poi sarà l’ex Jugoslavia, e c’è una scansione dei fatti delle persone degli accadimenti e il titolo non è a caso, ovvero ciò che ci resta del tempo che viviamo e in quello che dovrebbe essere un commento ( ma che in realtà è un capitolo del libro) del Cardinale Matteo Maria Zuppi, un suo pensiero lo faccio mio e lo trascrivo nel calepino e qui

La sapienza è non subire il tempo e trovare nella nostra storia quello che non finisce

Le pagine, le storie scorrono via e gli anni anche 1991-1995 Ex Jugoslavia, Kosovo 1998-1999, Crisi albanese 1997-1998, Guerra del Golfo (la prima) 1990-1991, poi il Medioriente, Pechino, i Grandi Laghi, Filippo ci dona un affresco asciutto tratteggiato con parole misurate e dove cerco io disperatamente quella sapienza di non subirlo questo tempo ma credo mi servirà ancora qualche anno per arrivare a tanto.

Segno questo tempo che ho vissuto su un foglio primi anni ’90-2023, ho finito in pochi giorni il libro di Filippo, poi con la testa sono dentro ad un teatro di guerra al Garibaldi a Palermo Luce e Memoria; una mostra fotografica dentro lo scheletro di un reduce del bombardamento del maggio 1943 alla Kalsa con le fotografie di Tony Gentile. In realtà è una installazione, teli fotografici a mo’ di lapidi a chiudere sepolcri aperti che un tempo erano palchi, e raccontano di una guerra subita che abbiamo avuto a casa in Sicilia nel ’92, e forse è un chiudere un capitolo di una vita una stagione.

Forse è questa la sapienza che vuole indicarci Matteo Maria Zuppi, di trovare nelle nostre storie quello che non finisce. Filippo e Tony hanno lasciato a noi una traccia di quanto hanno raccontato con i loro mezzi - molto simili quanto a narrazione - con parole fotografiche e con fotografie che valgono più di tanti articoli.

Torno a Calder e alla sua mostra del 2010 a Palazzo delle Esposizioni a Roma con la mia compagna e con Elettra che osserva il mondo da dentro; noi due basiti e affascinati dalle sculture dal teatro di Alexander Calder, dai suoi mobile ora giganteschi ora minimi e dalla lettura di una intervista del 1932

…“Spazi volumi suggeriti da minimi contrasti con la loro massa, o che li contengono, giustapposti, penetrati da vettori, attraversati da moti.

Niente di tutto questo è fisso.

Ciascun elemento può muoversi, spostarsi, oscillare, andare e venire nei suoi rapporti con gli altri elementi del suo universo.

Che non sia solo un istante passeggero, ma una legge fisica di variazione tra gli eventi della vita.

Non estrazioni.

Ma astrazioni.

Astrazioni che non assomigliano ad alcuna cosa vivente, se non al modi di reagire.”

Niente è fisso, e la meraviglia di quelle sculture è che mutano secondo natura.

Siamo dopo trent’anni come loro: assecondiamo il tempo reagendo ad una pagina, ad una fotografia con la sapienza di non subire.

giuseppe prode