Da un lato ci sono i conti pubblici che scontano una importante emorragia. Dall’altro ci sono le imprese rimaste incastrate, con investimenti fermi al palo.
E’ la bolla del Superbonus, la misura nata in tempo di Covid, con il Governo Conte, per rilanciare l’edilizia, che però a suon di manovre e cambi in corsa ha generato confusione e interrotto ogni buon proposito. Adesso ci sono migliaia di imprese e contribuenti con crediti incagliati, e i conti dello Stato a rischio.
A dare il colpo di grazia al Superbonus ci aveva pensato qualche mese fa il governo Meloni. E il ministro Giorgetti, nei giorni scorsi, ha ribadito il concetto: “Superbonus? A pensarci mi viene il mal di pancia”. E però, c’è da dire che il mal di pancia ce l’hanno anche tutte quelle imprese rimaste con i crediti incagliati, e con gli investimenti fermi al palo. Soprattutto in Sicilia, dove in molti avevano scommesso sui bonus edilizi.
In questi giorni si è tornati a parlare di Superbonus per diversi motivi. Perchè sono venuti fuori alcuni numeri raccapriccianti per i conti pubblici, altri invece delineano lo stato di ansia delle imprese. Poi si è riaperto il dibattito sul futuro del beneficio, e c’è chi vorrebbe un’ulteriore proroga per i condomini, e chi propone di mantenerlo agevolando però i redditi bassi.
A comandare, però, sono i numeri. E sono impietosi. Da marzo a oggi, in soli cinque mesi, sono saltati fuori altri 35 miliardi di crediti ceduti o scontati in fattura dalle imprese, che non erano previsti nei tendenziali di spesa. Ben 4 miliardi di questi crediti, poi, si sono rivelati fasulli. Quelli irregolari, a fine agosto, arrivavano a 12,8 miliardi, si legge in un appunto consegnato nei giorni scorsi dall’Agenzia delle Entrate alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. I crediti legati ai bonus edilizi che sono stati ceduti o scontati dalle imprese in fattura sono cresciuti da 110 a 146 miliardi di euro. Di questi, solo 23 sono stati già compensati, portandoli a riduzione delle tasse dovute. Gli altri 123 miliardi, che possono essere scontati in un quadriennio, sono in gran parte alla vana ricerca di un compratore. Al conto vanno aggiunti i crediti che i titolari portano direttamente in detrazione dalle imposte, si stima un’altra ventina di miliardi.
Questi sono i numeri che preoccupano la premier Meloni e che stanno pesando sulla manovra di bilancio 2024.
Sono numeri che hanno superato e di tanto le previsioni del 2020. Il superbonus 110 doveva costare 35 miliardi, ma ne sta costando 100. Tutto ciò nonostante lo stop allo sconto in fattura.
Però, paradossalmente, il governo potrebbe essere costretto a prorogare ancora il Superbonus 110 e a rivedere alcune regole. Il rischio, infatti, è che ci siano risvolti sociali, nell’economia reale, preoccupanti. Pensiamo, ad esempio, ai condomini che non riescono a finire i lavori in tempo e dovranno pagare di tasca propria gli appalti. In questo caso o vanno in default i proprietari, o ci vanno le imprese. Le imprese edili, a loro volta, sono ferme con gli investimenti, e non rischiano più, hanno crediti incagliati per miliardi di euro, e molte rischiano il fallimento. A fine luglio in tutta Italia mancavano ancora 20 mila condomini da finire, con lavori per 20 miliardi. Se i cantieri non vanno chiusi si perde anche il bonus già erogato. Insomma la proroga, per quanto non potrà essere digerita da Giorgetti, potrebbe essere una scelta scontata.
Tra le richieste per modificare la norma arrivate sul tavolo del Mef c'è l'ipotesi è di prorogare il 110% oltre il 2023 per chi ha uno stato di avanzamento almeno al 60% o con una percentuale comunque avanzata. La proroga potrebbe essere inizialmente per un trimestre. Mentre per le villette non sarebbe allo studio altri slittamenti, oltre a quello al 31 dicembre previsto dal dl Asset. A determinare la portata della modifica saranno comunque i margini di bilancio che saranno chiari una volta messa la Nadef a fine mese. A quei numeri si guarda per capire quello che si potrà fare con la prossima manovra di bilancio.
Al di là dei conti c’è la necessità di scongiurare il crac per imprese e famiglie.
Così, tra i possibili rimedi, spunta la possibilità di monetizzare i crediti, con lo Stato che offrirebbe in cambio titoli di Stato. Magari non per tutti: visto che del 110% hanno beneficiato i redditi alti (come certificano Bankitalia e Upb), l’operazione potrebbe essere riservata ai redditi più bassi. Non tutti sono d’accordo, ma mancano alternative efficaci. Ampliare la possibilità di recupero dei crediti non compensati negli anni successivi, previsto solo per le eccedenze del 2022, non risolve il problema degli incapienti. L’ipotesi che i crediti vengano riacquistati dalle società pubbliche non convince, mentre le Regioni stanno mettendo in campo le società partecipate. Alcune, tranne la Sicilia.
In Sicilia a lanciare l’allarme è l’Ance, l’associazione che riunisce i costruttori edili. Gli investimenti nel settore edile in Sicilia stanno rallentando drasticamente, con una diminuzione di circa 100 milioni di euro al mese. Attualmente, gli investimenti sono fermi a 5 miliardi di euro, mentre i crediti incagliati ammontano a 500 milioni di euro solo per le imprese associate all'Ance. Tutto ciò ha portato allo stop dei cantieri e ha impattato negativamente su tutta la filiera del settore, coinvolgendo una vasta gamma di aziende, dall’edilizia all’idraulica, dalla falegnameria alla ferramenta.
“Chiediamo che si metta immediatamente in campo ogni tentativo possibile per fronteggiare questa emergenza e si prevedano strumenti efficaci per consentire che si superi questa situazione di stallo che sta logorando il settore edile e tutto l’indotto” dice il segretario regionale della Filca Cisl Paolo d’Anca.
E ancora, aggiunge il leader della Filca Cisl: “Non possiamo più aspettare perché nonostante qualche timido segnale di apertura da parte delle banche ancora non intravediamo iniziative concrete”.
Intanto sono 14 mila le imprese siciliane coinvolte e che rischiano il crac.