Il classico non passa mai di moda, si sa. E in Sicilia è proprio l’ora del ritorno di un grande classico, in versione rivisitata, i tre tenori della politica siciliana, i tre caballeros, chiamateli come volete. Ma nell’anno del Signore 2023, mentre il mondo si interroga su temi come l’Intelligenza Artificiale o il cambiamento climatico, nella regione al centro del Mediterraneo a dare le carte del grande gioco della politica sono loro tre: Renato Schifani, Raffaele Lombardo, Totò Cuffaro. Fanno, insieme, duecentodieci anni esatti.
Sono loro che guidano l’agenda del cambiamento, un cambiamento che sa di antico, forse anche un po’ di restaurazione, ma nulla di meglio offre il panorama politico, e loro si sono presi tutto lo spazio necessario. Nemici-amici, adesso alleati, con il progetto di costruire un centro che Matteo Renzi se lo sogna, fare man bassa di voti alle elezioni Europee, e da lì riprendersi tutto quello che è loro.
Il primo, Renato Schifani, gode di una seconda giovinezza. Altro che Joe Biden, too old to run: a settantatré anni di età il potere sembra averlo ringiovanito. La sua prima estate da governatore della Sicilia è stata segnata dallo zero. Nessuna riforma è andata in porto, a un anno dalla sua elezione, da quella dei rifiuti, alla sanità. Tante discussioni, tanti tavoli tecnici, nulla. Neanche le controriforme, una volta specialità gattopardiane di casa, funzionano più. Voleva reintrodurre le province, cancellate, su spinta anticasta grillina, dal predecessore, Rosario Crocetta. Da Roma lo hanno avvisato: non possiamo tornare alle province, alle elezioni, ai presidenti e tutto, mancano i soldi.
Invece è pieno, pienissimo, il bottino politico di Schifani. Ha cominciato isolando il suo arcinemico all’interno di Forza Italia, Gianfranco Miccichè. Orfano di Silvio Berlusconi, Miccichè, un tempo vero vicerè dell’isola, è stato ridotto all’irrilevanza politica, con un colpo micidiale che poi gli ha inflitto il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul giro di droga nella Palermo dei vip. Finita la pratica Miccichè, è venuto il turno di qualche sfizio: e allora ecco l’operazione che ha portato in Forza Italia prima il capo dei grillini siciliani, il geometra Giancarlo Cancelleri da Caltanissetta, e poi niente di meno che un’icona del movimento antimafia siciliano, Caterina Chinnici, che solo qualche mese prima, sotto le insegne del Partito democratico, l’aveva sfidato (si fa per dire) alle elezioni.
Profondo conoscitore, da ex presidente del Senato, dei salotti buoni romani, tesse trame di intesa con Ignazio La Russa e soprattutto con Matteo Salvini, che lo ammira moltissimo e non lo nasconde. Adesso tenta il colpo grosso, perché sognare si può. Prendersi tutta Forza Italia, o quel che ne resta, per il dopo Berlusconi. La sfida a Tajani è lanciata, con la più classica delle dichiarazioni: «Con mia grande sorpresa alcuni amici mi hanno chiesto di avere un ruolo di primo piano nel partito. Ci penserò».
L’aiuto gli viene da fuori. Schifani ha due alleati impensabili fino a poco tempo fa, altri due ex presidenti della Regione. Il primo è Raffaele Lombardo, autonomista e manovratore per eccellenza, uno che fa e disfa partiti, e arriva dappertutto. Da presidente della Regione la sua storia finì per un processo che lo vedeva imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo anni, il processo è terminato a marzo con la piena assoluzione anche da parte della Cassazione, e tante scuse.
Non ha perso tempo, Raffaele Lombardo per rimettersi in campo. Già un anno fa, alle elezioni regionali, il suo movimento “Popolari e autonomisti” ha racimolato il 6,8 per cento dei voti e un drappello di deputati. E adesso guarda alle Europee, e lancia la sua opzione d’acquisto per Forza Italia. Il disegno è chiaro: trasformare il partito azzurro in una sorta di federazione che mette dentro i tanti centri siciliani. Schifani è d’accordo, perché con questi innesti verrebbe lo slancio per prendersi in mano il partito.
Bisogna solo capire i pesi, soprattutto con il terzo incomodo, il vero golden boy della politica siciliana: Salvatore Cuffaro. Totò un partito ce l’ha, la Nuova Dc. Dice sempre che lo fa per piacere, dice sempre che è un volontario tra tanti, ma intanto non c’è giorno che passi senza l’annuncio di un sindaco, un assessore, un consigliere comunale, da Palermo all’ultimo dei Comuni siciliani, convertito come San Paolo sulla via di Raffadali, il paese di origine del nostro. Ha creato pure una squadra di calcio del partito, il movimento giovanile della Nuova Dc (esatto: ci sono giovani nati nel 2000 che decidono di fare politica prendendo la tessera della Nuova Dc con la firma del segretario nazionale Totò Cuffaro).
Organizza a settembre la festa del partito a Ribera, che chiama “Festa dell’amicizia”, come quella, storica, che organizzava la Dc dei padri (era l’anti festa dell’Unità, per intenderci) mentre fa il giro del web la sua esibizione in maglietta rossa mentre canta “Bella ciao” durante un’iniziativa di partito per la pace in Ucraina.
Negli ultimi tre mesi sono stati trentanove i consiglieri comunali in Sicilia che hanno aderito alla Nuova Dc. Bandierine sparse qua e là, che permettono a Cuffaro di costruirsi una base, mentre con gli amici – nemici Schifani e Lombardo architetta l’assalto a Forza Italia, e la grande partita delle nomine, su tutti i manager delle aziende sanitarie, in scadenza a ottobre.
Il vecchio nuovo grande centro siciliano agita il centrodestra siciliano. Fratelli d’Italia e la Lega fiutano il clima e mettono le mani avanti. Nella prima, semideserta, riunione di maggioranza post – ferie, i meloniani di Sicilia sono stati chiari: «Non tutti possono avere lo stesso peso», hanno detto rivolti a Schifani. Parlavano di Cuffaro e Lombardo, ovvio. Schifani avrà capito che magari era un’autocritica. E sorrideva sornione. «Bisogna fare discorsi chiari, per evitare incomprensioni in futuro», dicevano invece dalle parti della Lega. Naif. Non lo sanno che in Sicilia il futuro, quando arriva, ti prende alle spalle.