Le dichiarazioni messe a verbale da Matteo Messina Denaro, davanti ai giudici che lo interrogano il 16 febbraio scorso, lo vedono negare di aver mai conosciuto i boss Corleonesi. Il boss castelvetranese, morto lo scorso 25 settembre, nega di aver fatto parte del gruppo di uomini inviati da Riina a Roma con l’obiettivo di uccidere Giovanni Falcone, nega di aver partecipato all’organizzazione della strage di Firenze del ’93 e di tanto altro.
Rispondendo alle domande del giudice Alfredo Montalto e dei pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gianluca De Leo, Messina Denaro ha continuato a dire la “sua verità” (qui potete leggere la prima parte) a depistare, a prendere le distanze da certi boss, denigrandoli, quasi rivendicando una sua “integrità morale”.
"A Roma andavo una volta a settimana" - Dopo aver detto di non conoscere Riina, Bagarella e i fratelli Graviano: “Non conosco nessuno di questi”. Spiega così perché si trovava a Roma che considerava in quel periodo la sua seconda casa, dove aveva anche una barca ad Ostia, ecco cosa risponde ai giudici: “Io a Roma ci andavo sempre. Ci andavo spesso, una volta a settimana, due volte a settimana perché avevo anche una mia parte di vita lì… avevo pure una barca a Ostia che non è stata mai individuata che poi io ho alienato, dopo che mi è successo tutto questo e quindi ci andavo anche per questo perché la barca non era intestata a me io me ne andavo in auto e poi ritornavo in auto”.
“Non conosco Brusca, io cerco il dialogo” - In realtà Messina Denaro a Roma andò anche a ispezionare il Teatro Parioli, prima dell’attentato a Maurizio Costanzo: “Non mi interessano queste cose. Non sono creduto ovviamente ma io dico la mia verità”. Il giudice lo ha incalzato e lui ha risposto: “Non conosco il signor Brusca, mi accusa di tante cose. Infatti ho sempre cercato un dialogo con qualcuno dello Stato, nel senso come stiamo facendo ora noi, non faccio cose segrete, per poter chiarire la mia posizione”. E poi continua “Presidente mi scusi mi sono espresso male. Quando ho detto cercavo un qualcuno con cui io potevo discutere questo fatto intendevo quando sarei stato catturato come poi è successo. Nel caso in cui io fossi stato catturato speravo che mi dessero la possibilità di poter difendermi di sto fatto di questo bambino sciolto da me nell’acido”. L’ennesima farsa.
Il piccolo Giuseppe Di Matteo - “Brusca dice che ad un tratto, non so in quale data e non so in quale posto ha detto, ma non era Palermo, dice che si è incontrato lui, io, Graviano Giuseppe e Bagarella e dice che abbiamo deciso del sequestro del piccolo Di Matteo con la finalità di far ritrattare il padre – ha proseguito -. Allora la prima cosa che io mi pongo come domanda a me stesso che cosa c’entro io di Castelvetrano di un’altra provincia a discutere delle cose di San Giuseppe Jato questo non l’ho mai capito”.
Così invece parla del giudice Falcone - “Il giudice Falcone ebbe l’intelligenza e anche il metodo di creare il teorema Buscetta e lo seguiva, ad un tratto dopo tutto quello che è successo nell’arco degli anni il teorema Buscetta lo dimenticarono come se non fosse mai esistito, ma lo fece Falcone e hanno mischiato, da noi si dice, le pietre con le uova, ma le pietre con le uova poi si rompono”.
“Brusca disonesto e mascalzone” - Così Messina Denaro parla di Brusca riguardo all’omicidio del piccolo Di Matteo - “Il bambino da quello che dice (Brusca) lo ha ucciso per vendetta, alla fine è stato un disonesto pure in questo… visto che non c’era più speranza che il padre ritrattasse… su un bambino, mascalzone che non sei altro. Capisco che se avesse trovato il Santo Di Matteo lo uccideva, ma che c’entra sto bambino dato che lo scopo non poteva mai più accadere quello che lui si era prefissato… lui dice che in quell’occasione si decise il sequestro io invece sono stato condannato per l’omicidio e ho preso l’ergastolo”.
"Non so niente sulla strage di Firenze" - “Parlando di Firenze, a prescindere che io non so niente di Firenze poi quello che dicono i collaboratori di legge se la vedono loro, io non so niente anche perché riscontri oggettivi non ce ne sono”. E ha continuato a negare il suo coinvolgimento: “Firenze qualora fosse vero, ma sulla mia persona non è vero, non è che si volevano uccidere persone anche perché ci sono collaboratori di legge che dicono che la finalità non era uccidere delle persone solo che il problema è stato, secondo me, che sono andati con la ruspa. Cioè hanno ucciso la mosca con cannonate perché si sa che se si mettono bombe possono cadere degli innocenti ma la finalità di come dicono alcuni non era uccidere alle persone era prendersela con i beni dello Stato”. (Qui potete leggere Matteo Messina Denaro e le stragi)
“Con me non sarebbe morto nessuno. Io ho una coscienza “- Così nelle sue dichiarazioni ai giudici Messina Denaro muove le critiche a chi ha organizzato l’attentato: “C’è da vedere a chi mandano a fare una cosa del genere, cioè che testa hanno, che intelligenza hanno, perché mettiamo caso che io andavo a Firenze a mettere questa bomba, giusto con le stesse finalità, non sarebbe morto nessuno perché io una bomba là non la mettevo, perché ho una coscienza, mi spiego… non è stato un errore, è stato menefreghismo che è peggio perché l’errore può essere perdonato”.
“Ho avuto solo un padre Francesco Messina Denaro”, così nega Riina - Sul fatto che fosse stato affidato da don Ciccio Messina Denaro, a Totò Riina come un secondo padre, ha detto: “Mio padre si chiamava Francesco Messina Denaro e ho avuto solo un padre, mi sarei schifato di lui se mi avesse assegnato a qualche altro a me mi ha cresciuto mio padre e mia madre ne sono orgoglioso. Altri padri non ne ho avuti”.
“Riina diceva cretinate per la demenza senile” - Sulle accuse di Riina di pensare solo a fare soldi con le le pale eoliche il boss ha detto: “Si deve tenere presente che il signor Riina diceva un sacco di cretinate (per colpa della demenza senile) – ha messo a verbale il capomafia di Castelvetrano un mese dopo l’arresto -, se Riina avesse conosciuto me avrebbe avuto rispetto di me perché io non sono stato mai una persona sguaiata, non ho mai avuto questi modi di linguaggio solo che Riina secondo me non c’era più”.