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19/11/2023 06:00:00

Marsala, la coop e il caporalato. "Abbiamo lavorato anche per Albano"

Con la recente assoluzione, in primo grado (definitiva se la Procura non dovesse fare appello) dall’accusa di falsa testimonianza del 38enne marsalese Antonino Sciacca, e la precedente condanna con patteggiamento, per “intermediazione illecita (‘caporalato’, ndr) e sfruttamento del lavoro”, di Filippo e Giuseppe Angileri, padre e figlio, e di Benedetto Maggio, cognato di Giuseppe Angileri, nonché del romeno Ion Lucian Ursu, si chiude la fase giudiziaria relativa al caso della cooperativa agricola “Colombaia”, confiscata nel maggio 2019 a seguito delle indagini svolte dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala (all’epoca diretta dal luogotenente Antonio Lubrano).

Rimane aperto, però, l’aspetto etico-morale riguardante le aziende agricole (settore vitivinicolo) che negli anni sono finite sotto i riflettori delle Fiamme Gialle (dal 2014 al 2016) hanno usufruito di manodopera a basso costo. Aziende non coinvolte sul piano penale-giudiziario in quanto i loro rapporti erano con la cooperativa “Colombaia”, che forniva i braccianti, e non direttamente con questi ultimi.

Insomma, a sfruttare, con paghe modeste e per buona parte delle giornate lavorative senza contributi previdenziali e assistenziali, era la cooperativa e non direttamente le aziende che usufruivano della manodopera. Eppure, il basso costo di quest’ultima avrebbe dovuto far sorgere quale sospetto ai titolari di queste aziende, proprietari dei vigneti dove i braccianti (quasi tutti romeni, tranne due marsalesi) lavoravano duramente.

E tra questi proprietari terrieri, dalle carte dell’indagine (testimonianza di un bracciante) salta all’occhio anche un nome abbastanza famoso. E’ quello del cantante Albano, nei cui vigneti, in Puglia, nel 2014, avrebbero lavorato numerosi braccianti della coop marsalese “Colombaia”.

A raccontarlo alla Guardia di finanza è uno dei lavoratori romeni (G.M.), che dice: “Abbiamo lavorato su terreni di mezza provincia, Marsala, Ferla, Sambuca, Mazara del Vallo, Salemi, Castelvetrano, Partanna; sono andato, insieme ad altri 10 operai, anche a Pantelleria, dove ci hanno fatto alloggiare in una piccola casa, lontana dal centro, vicino all’aeroporto; abbiamo lavorato lì per circa 2/3 settimane ed era un vero problema perché dovevamo acquistare tutto a nostre spese e lì la vita è cara; nella primavera del 2014 insieme ad altri 20/22 operai siamo andati a lavorare anche in Puglia, presso i vitigni del cantante Albano; lì abbiamo sistemato l’impianto, potato, zappato per circa 3 settimane; abbiamo alloggiato presso la cantina dell’azienda di Albano”.

Per queste prestazioni le Fiamme Gialle non hanno trovato fatturazioni nelle carte della “Colombaia”. Hanno trovato, invece, le fatture relative alle prestazioni di manodopera alla Tenuta “Gorghi Tondi”, Vini del Sud Calatrasi e “Abraxas” di Pantelleria, azienda Rizzo Felicia Assunta, Barone di Serramarocco e altri. Fatture con cifre anche importanti (fino a 79 mila euro).

“La paga giornaliera – dice uno dei braccianti agli investigatori - era di 30 euro, senza ulteriore indennità, a prescindere dall’orario di lavoro; rimaneva a mio carico, inoltre, il mangiare, l’acqua e quant’altro necessario; inizialmente mi dissero che avrebbero regolarizzata la mia posizione lavorativa ma invece mi misero in regola, per tutto il 2014, solo per qualche giorno di lavoro; la giornata lavorativa iniziava alle ore 05:30/6:00 – a seconda se il sole sorgeva presto o tardi – allorquando Maggio Benedetto o Angileri Filippo o il figlio, Giuseppe, venivano presso la mia abitazione a Strasatti. Facevano il giro e riempivano tre veicoli in cui caricavano anche 10/12 operai prelevati presso le proprie abitazioni. Era vietato fermarsi a riposare un pò, specie quando si zappavano le vigne, non si poteva fumare, ci veniva sempre detto di correre di sbrigarsi. Se qualcuno si fermava un attimo per prendere respiro si sentiva subito uno dei tre sorveglianti che urlava minacciando di lasciarci a casa all’indomani. Quando capitava che qualcuno si appartava un pò per i propri bisogni e loro se ne accorgevano si mettevano ad urlare dicendo che non si doveva perdere tempo. Arrivavamo a casa non prima delle 17 o 17.30”.