Il loro matrimonio - lui trapanese di 62 anni, lei tunisina di 22 anni - oltre a durare poco ha avuto anche strascichi giudiziari in seguito alla denuncia presentata dalla donna.
Ora l'epilogo della vicenda, con la condanna dell'uomo, accusato dalla consorte di tentata violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e lesioni, a cinque anni di reclusione. La sentenza, contro Pietro Sansone, è stata emessa dal tribunale del capoluogo, presieduto da Daniela Troya.
Il Pm, Franco Belvisi, invece, aveva chiesto per l'imputato tre anni e sei mesi.
Nell'estate del 2021, Pietro Sansone sposa, a Tunisi, con rito islamico, la magrebina nonostante tra i due ci fosse una notevole differenza di età: 40 anni per l'esattezza. Lei già aveva un figlio.
Dopo le nozze la tunisina si trasferisce a casa dello sposo, in contrada Lenzi. L'idillo dura poco. Nel dicembre del 2021, la coppia è già in crisi.
La ragazza si reca dai carabinieri e accusa il marito di violenza sessuale (diventata poi tentata violenza), di maltrattamenti e di lesioni: “Mi ha scaraventata fuori dall'auto in corsa”. Scatta il Codice rosso. La tunisina viene allontanata dalla casa familiare e condotta in località segreta.
A difendere Pietro Sansone è l'avvocato Santoro che presenta istanza di incidente probatorio per sottoporre la vittima ad un esame medico-legale per accertare eventuali postumi della violenza subita. Durante l'udienza, però, arriva il colpo di scena: la perizia non viene disposta perchè la tunisina dichiara che la violenza sessuale non era stata consumata, ma soltanto tentata. Sia il giudice Samuele Corso sia il Pm fanno presente alla persona offesa che per ben due volte, in sede di denuncia, lei, alla presenza di due interpreti, aveva parlato di violenza sessuale e non di tentata violenza. La ragazza si giustifica, sostenendo che i due interpreti non l'avevano capita in quanto uno algerino, l'altra marocchina e lei, invece, è tunisina. Interviene l'avvocato Josemaria Ingrassia, subentrato, nel frattempo, al collega Santoro che chiede alla giovane se fosse andata a scuola, apprendendo che la stessa era in possesso di maturità liceale. Il legale domanda poi alla vittima se al Liceo di Tunisi le lezioni si svolgevano in dialetto o in arabo letterario.
Per l'avvocato, infatti, appare inverosimile che la persona offesa non sia riuscita a farsi capire dagli interpreti quando ha dichiarato di aver subito violenza dal momento che avendo conseguito la maturità liceale doveva esser in condizioni di padroneggiare l'arabo letterario. Di fatto, però, cambiando versione ha impedito che si potessero trovare le prove del delitto da lei denunciato.
Lo scorso 15 dicembre la sentenza di condanna emessa dal tribunale. Nonostante, in fase dibattimentale, nel fascicolo relativo ai maltrattamenti era stata allegata una foto in bianco e nero scattata, dai carabinieri su richiesta della tunisina, con la sottolineatura “che sul corpo della persona offesa non si riscontravano ematomi, abrasioni o altri segni di violenza”. A nulla poi è servita la testimonianza resa ai carabinieri da un automobilista che era dietro l'auto di Pietro Sansone quando quest'ultimo avrebbe scaraventato la moglie fuori dall'abitacolo. Il teste ha dichiarato di aver visto lo sportello dell'auto aprirsi, la ragazza finire fuori, sottolineando anche di aver notato l'auto fermarsi e Pietro Sansone soccorrere la tunisina. E ad una precisa domanda dei carabinieri, il testimone ha negato poi di aver visto l'auto dell'imputato sbandare o deviare dalla propria traiettoria mentre si consumava il fatto. In dibattimento, l'avvocato Ingrassia ha poi sostenuto che “è materialmente impossibile per il conducente proiettarsi sul lato del passeggero, aprire lo sportello, vincere la sua resistenza e spingerlo fuori, mantenendo, però, una traiettoria adiacente al tracciato stradale”.
“L'onorevole collegio – ha dichiarato Josemaria Ingrassia - ha premiato l'impegno del difensore di parte civile, avvocato Domenico Cancemi del foro di Palermo del quale sono stato indegno avversario. Attendiamo – ha aggiunto - serenamente le motivazioni della sentenza, ma è ancora presto per dire se il mio assistito vorrà proporre appello. Al momento credo sia impegnato a meditare sulla figura di un certo Cinesia noto personaggio della letteratura greca”.