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26/12/2023 06:00:00

La Sicilia invasa dalle specie aliene, mentre i ricci di mare sono a rischio estinzione

 Dal granchio blu alla formica di fuoco, la Sicilia nel 2023 è stata invasa da queste specie aliene che rischiano, essendo entrambi predatori, di trasformare le biodiversità dell'Isola. Di contro però è sempre più concreta l'estinzione dei ricci di mare nell'Isola.

Il granchio blu ha invaso le coste siciliane e nel trapanese, ed è un pericolo per gli ecosistemi, perché si riproduce in maniera massiccia e divora ogni cosa. Nella Laguna dello Stagnone, ormai si fa a gara a chi ne pesca di più. Soluzione, tra l'altro, quella della pesca, assieme alle ricette, proposta per cercare di contrastare l'invasione. 

Chele robuste, in grado di tagliare le reti, e mangiare il pescato. Il granchio blu è un pericolo per l’ecosistema e un problema per i pescatori. Ogni femmina di granchio blu produce fino a due milioni di uova. E' molto pregiato. Qualche pescatore abusivo lo vende a dieci euro al chilo, e non mancano i siti che consigliano diverse ricette. La più quotata è la zuppa.

La proposta di Coldiretti - Per contrastare l'invasione del granchio blu con pescatori e contadini ha ideato alcuni piatti dalle qualità nutrizionali importanti, vista la presenza forte nel crostaceo di vitamina B12. Un argine alla specie aliena proveniente dalle coste atlantiche americane. Dal granchio blu al rosmarino all'insalatina di granchio alla veneziana fino agli spaghettoni all'aglio saltati al granchio: sono alcuni dei piatti dei menu. La presenza del crostaceo è spinta dai cambiamenti climatici e dal riscaldamento delle acque, che hanno reso i nostri ambienti più idonei alla sua sopravvivenza e proliferazione.

Lo studio sul granchio blu - Dalla Tunisia dove il granchio blu era arrivato prima, si sono sviluppati progetti di studio della specie. L’Università di Palermo, assieme ad altri enti tunisini, nell’ambito di un progetto transfrontaliero, “Blue Adapt”, ha da tempo avviato un’attività di studio e monitoraggio in quelle zone, come lo Stagnone di Marsala, e le foci dei fiumi, in cui prolifera il granchio. Uno studio che verte anche sul cambiamento climatico e sulle condizioni che permettono alla specie di adattarsi e riprodursi con questa intensità. La soluzione? Nell’immediato è pescarlo. Gli stessi pescatori danneggiati dal granchio passano al contrattacco e con delle nasse adatte a catturare il crostaceo. Pescarlo, e cucinarlo. Gli chef studiano nuove ricette per sfruttare le carni robuste e intense del granchio. Però potrebbe non bastare. Il Governo ha stanziato 2,9 milioni di euro per contrastare l'invasione del granchio blu, in tutta Italia. Il granchio blu però può essere anche una risorsa.

 La Formica di fuoco - In Sicilia c'è stato anche il primo avvistamento ufficiale della specie aliena "Formica di fuoco". La specie «è un predatore e nei luoghi in cui si insedia causa la diminuzione della diversità di invertebrati e piccoli vertebrati».  In un porticciolo in provincia di Siracusa, sono stati individuati 88 nidi: «Si tratta del primo avvistamento ufficiale per l’Europa», come si legge sulla rivista Current Biology. La specie può diffondersi in maniera estremamente rapida con impatti notevoli sugli ecosistemi, agricoltura e la salute umana. Le punture di questi animali «sono molto dolorose, e in casi estremi possono portare anche allo choc anafilattico scrive il Corriere della Sera. Socialmente organizzate come le api, con una regina e tante operaie, queste formiche sono in grado di riprodursi con una rapidità incredibile.

Originaria dal Sud America - L’animale deve il soprannome alla sua caratteristica più nota: come ricordato sopra, le sue punture sono molto dolorose e possono causare anche gravi reazioni allergiche o, in casi estremi, anche la morte. Si tratta di una delle specie più invasive al mondo. Originaria come il granchio blu del Sud America, grazie ai trasporti marittimi ha già conquistato buona parte del globo: in meno di un secolo ha colonizzato Australia, Cina, Caraibi, Messico e Stati Uniti, mentre l'Europa finora era rimasta immune. 

L'esperto - La Solenopsis invicta può diffondersi in maniera estremamente rapida, con impatti notevoli sugli ecosistemi, l'agricoltura e la salute umana.  “Si tratta di un predatore generalista e nei luoghi in cui si insedia causa la diminuzione della diversità di invertebrati e piccoli vertebrati”, spiega Mattia Menchetti dell'Istituto spagnolo di Biologia evoluzionistica, che ha guidato la ricerca con la collaborazione di Università di Parma e Università di Catania. "Grazie al veleno contenuto nel loro aculeo e alle colonie che possono raggiungere centinaia di migliaia di individui, queste formiche possono avere un impatto su animali giovani, deboli, o malati".

Le ricerche - Dopo aver visto alcune foto scattate in Sicilia, i ricercatori sono andati a verificare la situazione sul posto. Qui hanno trovato i nidi in un'area di 4,7 ettari, ognuno abitato da molte migliaia di formiche operaie. Parlando con gli abitanti della zona, gli autori dello studio hanno scoperto che le prime punture dolorose risalgono almeno al 2019, quindi l'arrivo della formica di fuoco non è recente e l'estensione reale dell'area invasa è probabilmente molto maggiore. Questione di tempo, prima che arrivi quasi ovunque. Il Dna degli insetti trovati in Sicilia sembra indicare come ceppo di provenienza le popolazioni attualmente stanziate in Cina o negli Stati Uniti. Lo studio dice che il 7% circa del continente europeo e il 50% delle nostre città ha condizioni adatte alla diffusione della formica di fuoco. “Secondo il nostro modello ecologico - dice Menchetti - le grandi città costiere sono tra i siti più adatti ad ospitarla. E con il cambiamento climatico le aree idonee al suo insediamento aumenteranno”.

A rischio estinzione in Sicilia i ricci di mare -  C'è il rischio concreto di estinzione dei ricci di mare. L’analisi dei fondali  - così come racconta il Corriere - è stata eseguita nelle cinque aree marine protette siciliane, partner del progetto, di Capo Gallo-Isola delle Femmine (in provincia di Palermo), Capo Milazzo (nella zona tirrenica del Messinese), Isola di Ustica (in provincia di Palermo), nella suggestiva zona del Plemmirio, anch’essa famosa per le meraviglie ambientali e i suggestivi fondali (nel Siracusano) e le vulcaniche Isole Ciclopi (nella zona ionica del Catanese): in tre mesi non sono stati trovati dei ricci, con risultati peggiori di ogni previsione. Il progetto è stato finanziato dai fondi europei ed è stato coordinato dal Dipartimento di Scienze della terra e del mare dell’università di Palermo. «Il riccio di mare nel cuore del Mediterraneo è sempre più raro», afferma Paola Gianguzza, responsabile scientifico. «L’obiettivo è promuovere la gestione, la conservazione e l’uso sostenibile del riccio di mare in Sicilia al fine di aggiornare il piano di gestione, previsto dalla legge del 2019, con attività di quantificazione, divulgazione e conoscenza della risorsa anche per sperimentare percorsi virtuosi per l’economia locale». Le conclusioni «sono sconfortanti perché nelle aree marine protette non abbiamo trovato ricci, non abbiamo trovato la struttura di una popolazione sana, quindi serve un fermo biologico di almeno tre anni, così come si sta facendo in Puglia», aggiunge.

Disegno di legge all'Ars - All’Ars è stato presentato un disegno di legge per bloccare la pesca dei ricci dal deputato del Pd Nello Di Pasquale. Le resistenze sono tante, a partire dai pescatori e dal settore della ristorazione. Infatti, il Paracentrotus lividus è considerato, sin dall’antichità uno dei frutti di mare più ricercati per la delicatezza delle sue gonadi e da sempre ha un importante ruolo commerciale. Il riccio vive sui fondali rocciosi, da 0 a 30 metri di profondità. Per respirare utilizza delle piccole branchie che pompano in continuazione acqua. In Sicilia il riccio di mare «è sottoposto a una forte pressione di pesca abusiva, anche per il suo valore alimentare ed economico», spiega Marco Toccaceli, responsabile della Cooperativa ricerche ecologiche ed ambientali, che ha svolto il monitoraggio visivo dei fondali. «Nella nostra regione solo in 12 hanno licenza di pesca dei ricci, tutti gli altri sono abusivi, ad eccezione dei pescatori subacquei dilettanti che sono autorizzati a pescarne massimo 50. Per questa ragione, bisogna intensificare i controlli».