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05/01/2024 06:00:00

5 Gennaio 1984: hanno ammazzato Pippo Fava

Sono trascorsi quarant'anni da quella sera del 5 gennaio del 1984, quando il giornalista Pippo Fava, una delle penne e delle voci più scomode dell'informazione siciliana, dopo essere uscito dalla redazione de “I  siciliani”, il giornale che aveva fondato, venne ucciso con cinque colpi di pistola davanti al Teatro Stabile di Catania.

Fava, 59 anni, collaboratore di numerose testate nazionali come i settimanali "Tempo" e "Domenica del Corriere", non fu solo un giornalista di forte impegno civile, ma uno scrittore, saggista, drammaturgo.

Fu l'inchiesta "I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa", accuse esplicite sulle attività illecite e i rapporti tra quattro imprenditori catanesi, Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo e il clan del boss Nitto Santapaola, di cui il giornalista catanese aveva trovato i fili annodati, che segnò la sua condanna a morte. Non faceva sconti con il suo inchiostro, desiderava Catania e una Sicilia diversa.

Il delitto - Alle ore 21:30 del 5 gennaio 84 Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio. Stava andando a prendere la nipote che recitava in Pensaci, Giacomino! al teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu ucciso da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca. Inizialmente, l'omicidio fu etichettato come delitto passionale, sia dalla stampa sia dalla polizia. Si disse che la pistola utilizzata non fosse tra quelle solitamente impiegate in delitti a stampo mafioso. Si iniziò anche a cercare tra le carte de I Siciliani, in cerca di prove: un'altra ipotesi era il movente economico, per le difficoltà in cui versava la rivista. 

Le false testimonianze -  Le accuse lanciate da Fava sulle collusioni tra Cosa nostra e i Cavalieri del lavoro catanesi vennero rivalutate dalla magistratura, che avviò vari procedimenti giudiziari. Un anno dopo il delitto, il giudice istruttore Sebastiano Cacciatore firmò un mandato di cattura nei confronti di un detenuto nel carcere di Piazza Lanza, Domenico Lo Faro, che confessò l'omicidio in una lettera alla fidanzata e ad un sacerdote ma non venne creduto e l'indagine archiviata. Qualche mese dopo, nel luglio 1984 un detenuto catanese nel carcere di Belluno, Luciano Grasso, confessò il delitto ma risultò pure lui un mitomane. L'anno successivo, un rapinatore catanese, detenuto nel carcere di Torino, Francesco Vanaria, rese ai magistrati dichiarazioni sul caso Fava, accusando il boss Marcello D'Agata (uno dei fedelissimi di Santapaola) di essere l'assassino ma nemmeno lui venne considerato attendibile. Nel 1989 arrivarono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Pellegriti, ex mafioso di Adrano, il quale affermava di aver incaricato un suo uomo per uccidere Fava per fare un favore a Santapaola; tuttavia Pellegriti venne denunciato per calunnia dal giudice Giovanni Falcone poiché le sue dichiarazioni si rivelarono inventate.

Indagini, processi e condanne - Le indagini ripresero nel 1993, a seguito delle accuse del collaboratore di giustizia Claudio Severino Samperi, che condussero al maxi-blitz con 156 arresti contro il clan Santapaola denominato "Orsa Maggiore" e consentirono di incriminare Nitto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano rispettivamente come mandante ed esecutore materiale dell'omicidio Fava. L'anno successivo si aggiunsero anche le dichiarazioni di Maurizio Avola, il quale si autoaccusò di aver avuto un ruolo operativo nel delitto e indicò i nomi degli altri assassini. Nel 1998 si è concluso a Catania il processo denominato "Orsa Maggiore 3" dove per l'omicidio di Giuseppe Fava sono stati condannati all'ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D'Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola. Nel 2001 le condanne all'ergastolo sono state confermate dalla Corte d'appello di Catania per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, accusati di essere stati i mandanti dell'omicidio, mentre sono stati assolti Marcello D'Agata e Franco Giammuso che in primo grado erano stati condannati all'ergastolo come esecutori dell'omicidio. L'ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all'ergastolo e Avola a sette anni patteggiati. Una verità giudiziaria alla quale si è arrivati solo dopo avere sventato vari tentativi di inquinare la verità. 

L’intervista una settimana prima del delitto – Una settimana prima di essere assassinato, il 28 dicembre 1983, Fava aveva denunciato ancora una volta la connivenza tra potere politico e mafia in un’intervista a Enzo Biagi: “I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Tutto parte dall’assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana e forse anche della nostra democrazia”. Il giornalista rivendicava di essere mosso da una visione alta del proprio ruolo: “Ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che, in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente in allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”. Qui l'intervista.

 

Le commemorazioni a Catania –  Oggi in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio, Pippo Fava sarà ricordato a Catania davanti alla lapide dove alle 17 si concentrerà il corteo proveniente da via Roma. Oggi quella strada porta il suo nome: si chiama infatti via Giuseppe Fava. Alle 18 al Centro culture contemporanee Zo, in piazzale Rocco Chinnici, si terrà il dibattito col magistrato Sebastiano Ardita, i giornalisti Pierangelo Buttafuoco, Claudio Fava (figlio di Pippo), Michele Gambino, Francesco La Licata. Proprio a La Licata, cronista di fatti di mafia di grandissima esperienza, verrà consegnato il Premio nazionale di giornalismo intitolato a Fava.