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02/03/2024 06:00:00

Messina Denaro non aveva torto sulla morte del piccolo Di Matteo

 Matteo Messina Denaro non ha ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo. E non è stato nemmeno tra i mandanti dell’omicidio. Eppure in tanti sono convinti che a strangolare e sciogliere nell’acido il figlio del pentito Santino Di Matteo, l’11 gennaio del 1996, sia stato proprio il boss di Castelvetrano. E in ogni conferenza antimafia, sindaci, associazioni ed esponenti della magistratura, lo hanno sempre lasciato intendere.

 

L’incastro concettuale è più o meno questo: Messina Denaro è stato condannato anche per il sequestro del piccolo Di Matteo, che alla fine è stato ucciso in quel modo orribile. Dunque il boss, anche se (forse) non è stato tra gli esecutori materiali, vista la relativa condanna all’ergastolo in secondo grado, ne avrà deciso “collegialmente” in qualche summit anche l’uccisione. In ogni caso è un mafioso e, se ad uccidere Giuseppe Di Matteo è stata la mafia, allora anche lui è colpevole.

 

La scuola elementare che il capomafia castelvetranese ha frequentato da bambino, a due passi dalla casa in cui ha abitato fino a poco prima della latitanza, ha cambiato nome: dopo il suo arresto, non è più la “Ruggero Settimo”, ma appunto la “Giuseppe Di Matteo”. Una proposta partita dal giudice Fabrizio Guercio, presidente della sottosezione di Marsala dell’Anm: “A Castelvetrano non c’è più posto per Matteo Messina Denaro e per gli altri mafiosi – ha detto Guercio – Questa intitolazione è una scelta rivoluzionaria, un attacco al potere mafioso”.

 

Nel caso in cui fossi stato catturato – dice il boss interrogato il 13 febbraio 2023 dal procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia e dall’aggiunto, Paolo Guido - speravo mi avessero dato la possibilità di difendermi per la vicenda del bambino che io avrei sciolto nell’acido. Se lei mi dà questa possibilità, io gliene sarò grato per tutta la vita”.

 

E il boss dice la sua, parlando di Giovanni Brusca.

Il Brusca mi accusa e dice che ci siamo incontrati, lui, io, Giuseppe Graviano e Bagarella. Dice che abbiamo deciso del sequestro del piccolo Di Matteo, con la finalità di fare ritrattare il padre, Santo Di Matteo”…

Messina Denaro prosegue nella sua ricostruzione.

Io, lo dice anche lui, durante il sequestro non ci sono. Il bambino lo prende lui, lo gestisce lui. Certo, nella provincia di Trapani gli trova due covi, uno verso Valderice e uno verso Castellammare. Li trova lui, ma magari dice che glieli ho trovati io. Ma va bene lo stesso. Ad un tratto però arrestano prima Graviano e poi Bagarella. Quindi, dice sempre Brusca, rimaniamo io e lui a sapere di questo bambino. Lui stesso però dice che non ebbe più contatti con me su questa vicenda. Ma lasciamo perdere. Poi dice che il nonno del bambino gli fece la controproposta di fare uno scambio, proponendosi al posto del bambino. Ma lui rifiutò. Ad un tratto Brusca, guardando il telegiornale, apprende di essere stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’esattore Ignazio Salvo. Allora prende il telefonino e chiama suo fratello, che si trovava dove era sequestrato il bambino, dicendogli “Allibèrtati di lu cagnuleddu”. Poi chiude la chiamata e si reca a San Giuseppe, dove trova suo fratello. Fu quest’ultimo a strangolare e sciogliere nell’acido il bambino, insieme ad altri tre. Due erano Chiodo e Monticciolo, l’altro non lo so. Comunque, questi tre, insieme a Giovanni Brusca e al fratello sono tutti diventati pentiti. Ma nessuno di loro dice che a sciogliere il bambino nell’acido c’ero anch’io. Mi pongo una domanda: cosa c’entro io, di Castelvetrano, di un’altra provincia, a discutere le cose di San Giuseppe Jato? Non l’ho mai capito”.

 

Sarà stato davvero così? In fondo, sono le parole di un mafioso. A credergli però non è il vecchietto con la coppola beccato dal giornalista in un bar di periferia, ma lo stesso procuratore Maurizio De Lucia: “Nessuno le contesta il fatto materiale, la sua ricostruzione è perfetta – afferma De Lucia durante l’interrogatorio - La contestazione le viene fatta soltanto come mandante del sequestro. Lei è stato condannato per questo, non per essersi trovato lì nel momento in cui il bambino è stato sciolto nell’acido”. 

 

E io la ringrazio per questa precisazione – ribatte Messina Denaro - perché per il mondo intero, fino a questo momento, io sono quello che ha sciolto il bambino nell’acido”.

 

Il piccolo Di Matteo, racconta il boss basandosi su ciò che è stato ampiamente diffuso dalla stampa, sarebbe stato ucciso per vendetta.

Ecco come prosegue il suo racconto:

Brusca è stato disonesto pure in questo. Liberalo! Il padre non ha voluto ritrattare? Va beh, ognuno risponde della propria vita e delle proprie azioni, nel bene e nel male. Ma hai visto che non c’era più speranza che questo ritrattasse, perché ti sei vendicato sul ragazzino? Mascalzone che non sei altro! Posso capire che se avesse trovato il Santo Di Matteo, lo avrebbe ucciso. Ma che c’entra questo bambino, visto che quello che lui si era prefissato non poteva più accadere?”.

 

Anche nel caso in cui le cose siano andate come le ha descritte Brusca, signor presidente, io sarei dovuto essere condannato per un sequestro non per un omicidio – aggiunge Messina Denaro - E per l’uccisione non c’entravo niente nemmeno come mandante, C’entravo semmai, in base a quello che dice Brusca, con il sequestro. Perché lui dice che in quell’occasione si decise il sequestro. Allora perché io mi sono preso l’ergastolo per l’omicidio?”.

 

Si tratta di considerazioni più che condivisibili, a meno di non volerle respingere a priori perché fatte da un mafioso che ha ucciso diverse persone.

Inoltre Brusca, dopo aver appreso la notizia del suo ergastolo per aver ucciso Ignazio Salvo, non contattò Messina Denaro per dirgli “cosa facciamo ora?”, ma (lo dice sempre Brusca) si limitò a chiamare telefonicamente suo fratello.

Ed è a questo punto dell’interrogatorio che il boss si pone una domanda: “Se Bagarella e Graviano fossero stati ancora liberi, lui l’avrebbe fatto ciò? La risposta è no, perché non lo poteva fare, perché quelli avevano la loro zona e doveva dar loro soddisfazione. Invece a me non doveva dare nessuna soddisfazione, perché io faccio parte di un’altra provincia”.

 

Ironia della sorte, il murales nella facciata della scuola di Castelvetrano intitolata a Giuseppe di Matteo non è la gigantografia dell’iconica foto del bambino a cavallo. C’è un cavallo che salta l’ostacolo e c’è un fantino, ma quest’ultimo non è Giuseppe Di Matteo. Insomma, il caso ha voluto che alla fine si scegliesse un altro soggetto, nonostante il progetto iniziale dell’artista che poi lo ha realizzato fosse invece proprio la conosciutissima foto del figlio del pentito Santo di Matteo.

 

L’impressione è che si abbiano davvero pochi elementi sulle attività mafiose di Matteo Messina Denaro negli ultimi trent’anni. Di affari, di infiltrazioni nell’economia legale, nella politica e nelle istituzioni c’è poco. E quando si parla di fiancheggiatori, ci si riferisce sempre a quelli che coprivano la sua latitanza, finora nomi non proprio di insospettabili. E allora, per l’indignazione sociale non rimangono che radici lontane: l’uccisione del piccolo Di Matteo del 1996, le stragi del 92/93, le guerre di mafia degli anni ’80.

 

Egidio Morici