Le pari opportunità non si predicano, si praticano.
La Giornata della donna è una cosa seria, non è solo occasione per brindisi e per ricordare che le donne sono l’altra metà del cielo.
E’ occasione di riflessione e di azione, perché le pari opportunità si costruiscono senza sosta. L’otto marzo si vive con consapevolezza, con senso alto di partecipazione, perché ancora oggi c’è chi pensa che dietro il successo di una donna ci sia la spintarella di un uomo. Ebbene, spiace deludere i fiocchetti azzurri, le donne ce la fanno anche da sole, magari imparando anche che devono fare squadra, che devono riuscire a comunicare meglio tra di loro, perché è in sinergia che si lavora per costruire percorsi veri.
Ed è doveroso ricordare che oggi si commemorano le cento operaie morte nel 1911 nel rogo dell’edificio newyorchese della Triangle Waist Company, in cui lavoravano in condizioni terribili.
E la mimosa non è poi così terribile, nè donarla nè riceverla, non è un simbolo vuoto: fu scelto al posto della violetta da due donne femministe dell’Udi, Unione donne d’Italia: Rita Montagnana, e Teresa Mattei. La scelta ricadde sulla mimosa per la sua luminosità ed energia delle donne.
C’è un posto per tutte, c’è la necessità di acquisire consapevolezza, di resistere agli urti interni ed esterni, di scardinare un sistema che vede le donne nel solito cliché. Molte di queste donne non riescono nemmeno a vedere le potenzialità di cui godono, di metterle a frutto, di rompere quel velo di apatia e di normalità per spiccare il volo.
Costruire consapevolezza significa essere leader della propria vita, realizzate e soddisfatte, che non significa comandare, che non significa arrivare nella stanza dei bottoni, significa sentirsi bene con se stesse. Mai intrappolate in perimetri che altri hanno minuziosamente costruito.
Per questo il confronto e il dialogo sono il sale di un percorso che va fatto insieme, perché nessuna strada sia preclusa. Il vero viaggio delle donne è quello dentro il proprio io, conoscerne gli anfratti, gli spigoli e le morbide curve.
Un viaggio faticoso e pieno di imprevisti ma necessario e ricco di energia, perché le donne sono fragilità e durezza, dignità e fierezza. Profumo e rumore.
Ecco perché è importante costruire consapevolezza, solo così si può scegliere, solo così si è libere di restare o di andare. Di camminare o di fermarsi.
Le parole sono importanti, quelle che pronunciate fanno esistere le cose. Ed è così che bisogna fare: il linguaggio di genere non è una opzione è un obbligo. Diceva Rosa Luxemburg “Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario”, eppure c’è una resistenza nell'uso della lingua a riconoscere questo cambiamento, lingua che usa ancora il maschile attribuendogli una falsa neutralità e che rende difficoltoso il percorso di rimozione degli stereotipi di genere. L’uso del linguaggio inclusivo è al centro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Con target attesi ben precisi, gli Stati sottoscrittori si impegnano nei prossimi anni ad “astenersi da qualsiasi atto o pratica discriminatoria nei confronti della donna ed agire in maniera da indurre autorità ed enti pubblici a conformarsi a tale obbligo”, oltre che a “prendere ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione”.