Si chiama Vitrarolo perché le piante, al momento della potatura, nel periodo invernale, fanno un rumore che ricorda il vetro che si rompe. È il vitigno reliquia sul quale hanno scommesso due famiglie del vino siciliane nel segno della valorizzazione delle varietà autoctone.
Adesso, la rievoluzione del vino siciliano ha ridato dignità a un vitigno – il Vitraloro appunto – a bacca rossa, che gli studi enologici hanno incoronato a varietà ideale per la resistenza alla siccità e alle malattie, due caratteristiche che nel futuro avranno enorme importanza.
I primi grappoli di Vitrarolo coltivati dall’azienda Pulizzi in contrada Marcanza in territorio di Marsala, e vinificate dalla cantina Fina sono state stappate nel corso della presentazione di questo nuovo vitigno al Padiglione 2Sicilia del Vinitaly.
All’incontro ha preso parte anche Dario Cartabellotta, direttore generale dell’assessorato all’Agricoltura che ha ricordato il pioniere della valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani Diego Planeta e la “follia omicida” dei viticoltori degli Anni Sessanta che eliminarono il Vitrarolo come altri vitigni reliquia dai loro vigneti.
Attualmente il Vitrarolo è coltivato su duemila mq di terreno che hanno prodotto 20 quintali di uva per la produzione di 1.600 bottiglie divise a metà fra la famiglia Fina (vinificatori) e Pulizzi (conferitori delle uve). Le prime bottiglie di Vitrarolo prodotte dall’azienda Fina. Qui l'intervista a Sergio Fina che parla del "Vitrarolo".
Di vini bianchi siciliani che sono al top del mercato, si è parlato ieri mattina al Vinitaly di Verona nel corso di un focus dal titolo “Grillo Doc Sicilia, un caso di successo”, cui ha partecipato in primis il presidente del Consorzio Doc Sicilia, Antonio Rallo. “Negli anni 2022-2023 abbiamo registrato una crescita da 153 mila a 177 mila ettolitri. Se pensiamo – ha osservato - che sette anni fa le bottiglie prodotte erano 12 milioni e oggi sono più di 23 milioni, cioè con un incremento del 15% è un ottimo risultato. Abbiamo fatto tanta strada e tanta ancora ne possiamo fare”.
All’incontro moderato dal giornalista del Corriere della Sera Luciano Ferraro, hanno preso parte anche Roberto Ragona (Canino Srl), Rossella Cernuto (Nielsen), Veronika Crecelius (Weinwirtschaft di Meininger) Filippo Bartolotta (wine educator).
La storia del Grillo è sorprendente se si pensa che prima del 1910 non ce n’era traccia sui libri di enologia. Era solo un vitigno che rientrava nell’assemblaggio del Marsala. Solo fra il 1910 e il 1940 - con lo zampino degli inglesi - il Grillo divenne il vitigno principe dell’areale del trapanese spodestando Catarratto, Insolia, Damaskino, Catanese bianca, fino a quel momento le uve canoniche per la produzione del Marsala e ad inventarlo fu il barone Antonio Mendola (Favara 1828-1908), ampelografo, uno studioso con mille interessi fra cui la genetica botanica sulla quale intratteneva corrispondenza con un certo Darwin. Il barone Mendola ideò l’incrocio fra il grintoso Catarratto e l’elegante Zibibbo, per ottenere un ibrido con le migliori virtù di entrambi: il Grillo. È il vino più “caleidoscopio” che esista in Sicilia – per utilizzare le parole del Master of Wine Pietro Russo - declinato in più di 70 variazioni (dallo spumante al passito, con vigne che si trovano dal livello del mare fino 600 metri d’altezza).
I produttori oggi potranno contare anche su un nuovo processo di digitalizzazione per orientare le loro azioni messo a disposizione dal Consorzio Doc Sicilia, la piattaforma Pical, una piattaforma per le certificazioni agroalimentari consultabile in tempo reale nella quale si possono trovare tutti i numeri sulla produzione e l’imbottigliamento. Implementata dalla Canino Informatica la piattaforma “offre non solo i dati in maniera riepilogativa - ha informato Roberto Canino della Canino Srl – ma anche strumenti di IA dai quali ottenere risposte in base ai dati aggregati all’Interno dagli organismi di controllo”.
Ma quanto è cresciuto sul mercato il Grillo? La risposta è arrivata dall’analisi di Rossella della Nielsen società leader nelle ricerche di mercato secondo cui l’andamento del Grillo nelle vendite è stato “eccezionale”. Un vero salto del grillo – lo ha definito – perché crescere nel contesto di crisi e di inflazione nel quale ci troviamo sfiorando un +20% è un risultato eccezionale. Stiamo ancora riassorbendo la “bolla” della pandemia e, dal 2020 ad oggi, i volumi di vendita solo calati con i consumatori che cercano di difendersi come possono dagli aumenti dei prezzi, ma in questa situazione fa eccezione il vino doc bianco (+1,1%) e all’interno di questo dato il Grillo ha contribuito in larga parte con un volume percentuale del 5,5%. I fattori di crescita sono la domanda crescente del prodotto e la forte territorialità distintiva che collega indissolubilmente il Grillo alla Sicilia”. Qui l'intervista all'enologo Pietro Russo.