C’è già un vincitore, per le prossime elezioni europee di Giugno. Uno che ha superato mille fatiche, neanche fosse un atleta di triathlon, eppure è sopravvissuto, ce l’ha fatta, lavorando giorno e notte, fino a farsi lacrimare gli occhi.
E’ il grafico, anzi, il “brand designer” che ha dovuto disegnare, comporre, sistemare e far quadrare il simbolo della lista più incredibile non d’Italia, ma di tutta Europa. Una specie di matrioska della scheda elettorale. La lista Libertà, di “Scateno” De Luca.
Dentro, infatti, ci sono ben 19 simboli di altrettanti micromovimenti e sigle, che compongono un’alleanza elettorale che solo il Sindaco di Taormina poteva pensare, per superare lo scoglio del 4%.
Più sfortunato del grafico, comunque, è chi quel simbolo dovrà depositare, accompagnando al logo della lista, la descrizione. Quante pagine ci vorranno?
Cateno De Luca, classe ‘72, è uno dei politici più irrequieti che la Sicilia conosca. Qui basta solo ricordare che da solo lui vale il 12% dei voti in Sicilia, soprattutto nella parte orientale dell’Isola. Che fuori dallo Stretto di Messina, città dove i suoi uomini, in pratica, controllano tutto, ha ovvie percentuali da prefisso telefonico. Che aveva cercato un’alleanza con Carlo Calenda e Azione, e che sembrava cosa fatta. Che poi la “base”, come si dice in questi casi, ha detto no. E allora in un’animata assemblea a Taormina si è deciso: alle Europee si va da soli, mettendo dentro chi ci sta, in nome della “libertà”.
Ed è cominciato il bello. De Luca, come Diogene con la lanterna, ha girato in pratica tutte le regioni d’Italia, cercando tutti gli zero virgola, i movimenti iper territoriali, le vecchie glorie di prima e seconda repubblica, i transfughi dei transfughi, i rancorosi ex. E ne ha trovati parecchi. Dal suo paese, Fiumidinisi, mille abitanti in provincia di Messina, è andato in cerca di alleati, senza guardare in faccia ad ideologie, programmi e slogan. Unico comune denominatore: stare insieme, per stare insieme. I no - vax. i sovranisti, gli autonomisti, gli iper cattolici del “Partito della famiglia”, “Italexit” (ma orfano di Paragone, uscito dal movimento che lui stesso ha creato, con tanto di diffida). Gli immortali “Pensionati”. I duri e puri della primissima Lega. Mancava qualcosa, però, qualche testimonial, qualcuno che desse spessore, diciamo, all’operazione. Ecco Laura Castelli, allora, l’ex sottosegretaria all’Economia dalle innumerevoli gaffe, che del partito ”Sud chiama Nord” adesso è portavoce. Ecco poi l’animalista influencer, come si fa chiamare, Enrico Rizzi.
Se uno stropiccia gli occhi e si concentra, sembra uno di quei giochi della Settimana Enigmistica. Tipo “trova l’intruso”, o “Cosa manca?”. Fa capolino ad un certo punto, come un’allucinazione, una specie di goblin verde. E’, appunto, il “Fronte verde”, di tale Vincenzo Galizia. Un movimento ecologista che esiste, dice il fondatore, sin da 2006. E ci tiene a spiegare che quello rappresentato è un arciere, con un cappuccio verde. C’è anche un altro simbolo verde che ricorda la spia del gas, in cucina. E’ “Progresso sostenibile”, dell’ex europarlamentare Giulia Moi, eletta, tanto per cambiare, anche lei, con il Movimento Cinque Stelle. E’ la colonna sarda dell’allegra brigata. Il suo micropartito è nato nel 2022. In confronto “Il popolo della famiglia”, di Mario Adinolfi, sembra appartenere ad un’era fa. Anche lui fa parte del caravanserraglio, e si appella ai “7 milioni di cattolici praticanti in Italia”.
Più turbolenta la storia dell’avvocato Marco Mori. Era in ItalExit, poi in Riscossa Italia, adesso è il dominus del movimento Sovranità: omen nomen, che aggiungere di più? Il suo programma è semplice, dice: “Contrastare una lista eversiva come quella che propone la fine dell’Italia nel nome degli Stati Uniti d’Europa”.
E’ fallito invece a De Luca il progetto di imbarcare Democrazia sovrana popolare (guidata da Marco Rizzo) e Indipendenza! (guidata da Gianni Alemanno). Si era raggiunto un accordo, comunicato al popolo social, poi saltato, dice De Luca per “disaccordo sulla leadership”. Strano. Se ne è andato Roberto Castelli, e si è rischiato per qualche ora di avere il colpo da novanta: Umberto Bossi. Ma non se n'è fatto nulla.
Si consola, De Luca, con i consiglieri ex leghisti della Valle D’Aosta, il “Grande Nord”, il “Popolo Veneto”, “Noi agricoltori e pescatori”, e “I Civici in Movimento” dell’ex Sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi.
Manca ancora qualcosa. Ah, certo. L’antimafia. Ognuno ha il suo bel candidato antimafia da mettere in vetrina. I Cinque Stelle hanno ingaggiato l’ex presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, scampato ad un misterioso attentato. Forza Italia ha Rita Dalla Chiesa, ed ha soffiato al Pd Caterina Chinnici. E De Luca non sta a guardare. Ne mette anzi due, in lista, tra i tanti nomi dell’Isola degli antimafiosi (potrebbe essere il nome di un reality, perché non ci hanno pensato? ). La prima è Piera Aiello. Testimone di giustizia, originaria di Partanna, nel Belice, fu candidata dai Cinque Stelle nel 2018 ed eletta con più del 50% dei voti in Sicilia Occidentale. Si scoprì, dopo, che in realtà non si poteva candidare: è sotto un programma di protezione, la sua identità, segreta, è un’altra. Ma la sua posizione è stata archiviata: il giudice ha stabilito che si, non si poteva candidare, ma lei mica lo sapeva.
E poi il pezzo grosso è il capitano Ultimo. Al secolo è Sergio De Caprio ed è il capitano dei carabinieri che nel 1993 arrestò il boss mafioso Totò Riina. A De Luca ha fatto il regalo più grande. Perché non solo si candida, ma ha deciso, durante la conferenza stampa di presentazione della lista della grande ammucchiata, di fare il più clamoroso dei gesti: togliersi per la prima volta il passamontagna e mostrarsi in pubblico, con vasta eco di articoli sui giornali. Lui dice perché è stanco di nascondersi. Ma anche il riscaldamento globale, e le temperature già incendiarie ad Aprile, magari, hanno avuto un peso. Curiosità: nel 2013, Capitano Ultimo fu il nome scelto dall’appena nato partito di Fratelli d’Italia per l’elezione del Presidente della Repubblica (nei diversi scrutini, prese al massimo nove voti).
Ultimo è pezzo talmente grosso che merita il nome in un pezzettino di lista, come fosse un partito. Con lui, simbolo dopo simbolo, uno leva e uno metti, siamo arrivati a 19. Un record. Secondo gli appassionati del tema, finora il tetto massimo era stato raggiunto, alle Europee, da una lista nominata “Federalismo”, ma con “appena” 9 simboli. Principianti. Qui siamo di fronte alla Cappella Sistina dei simboli elettorali. C’è anche chi ha fatto la simulazione, e ha calcolato che ci saranno movimenti, all’interno, che avranno ben 2,9 millimetri di diametro per il loro simbolo. Bisogna votare con la lente da vicino.
C’è chi osserva anche una cosa molto prosaica: se il "Fronte della libertà" riuscirà a superare il 4 per cento, non solo riuscirà a mandare davvero un parlamentare a Bruxelles, ma tutti i micromovimenti che hanno messo il loro contrassegno nel simbolo potranno accedere al 2 per mille dell’Irpef.
“Non è detto che sia finita qui” ha detto De Luca in conferenza stampa, a Roma, presentando la lista (solo venti minuti per dire tutti i movimenti ed i simboli). Annuncia sorprese, aggiunte dell’ultimo minuto. Si tratta di cercare spazio, creare pesi e contrappesi, inserire altri elementi, senza sfigurare. Povero grafico, ancora non è finita.