L’alcamese Giuseppe Gulotta e l’ex pastore sardo Beniamino Zuncheddu hanno partecipato alla “due giorni” sui più clamorosi errori giudiziari italiani (il terzo, quello di Enzo Tortora) dell’ultimo scorcio del XX secolo. Un convegno, organizzato dalla locale Camera penale (presidente l’avvocato Francesca Frusteri) e dal responsabile nazionale Errori Giudiziari, l’avvocato Giacomo Frazzitta, che ha visto i legali confrontarsi sul delicato tema con alcuni magistrati.
E proprio nei giorni del convegno, svoltosi al Teatro “Sollima”, è arrivata la notizia del deposito delle motivazioni della sentenza con cui il 26 gennaio la Corte d’appello di Roma, nel processo di revisione, ha assolto Beniamino Zuncheddu, ormai 60enne, in carcere per quasi 33 anni in quanto condannato all’ergastolo con l’accusa di essere l’autore, o uno degli autori, della strage di Sinnai l’8 gennaio 1991 (tre morti e un ferito grave).
“Le motivazioni – ha spiegato l’avvocato difensore Mauro Trogu – dicono che il testimone oculare è stato sicuramente imbeccato dal poliziotto nel momento in cui ha accusato Beniamino Zuncheddu. Quindi, il testimone d’accusa non aveva visto ed è stato indirizzato dal poliziotto verso Zuncheddu. E si dice nelle motivazioni che è apparso anche un testimone altamente malleabile, volubile. Quindi, un teste inaffidabile. E questo contrasta con quanto affermato nel 1991, quando si era difeso in maniera ferrea la sua affidabilità. Si dice, inoltre, che anche il testimone che fornì la prova del movente è inaffidabile, ma nonostante ciò si indugia dire ‘ma comunque lo Zuncheddu non ha dimostrato la sua totale estraneità ai fatti’. Ma questa è una prova diabolica, perché noi non sappiamo chi lo accusa, non abbiamo nessuno da poter smentire. E questo lascia un po' l’amaro in bocca. Anche perché con questo ragionamento c’è una inversione dell’onere della prova. Ma è l’accusa a dover dimostrare la colpevolezza di un imputato, non quest’ultimo a dover dimostrare la propria innocenza. Dopo 33 anni di ingiusta detenzione, questo mi pare poco carino verso Zuncheddu”. La sentenza, conclude il legale, diverrà definitiva il prossimo 10 giugno e in quel momento potrà essere formulata la richiesta di risarcimento danni.
“La mia famiglia mi ha aiutato, i miei fratelli hanno lavorato per me. Soprattutto mia sorella e mio cognato – ha dichiarato Zuncheddu - Ma ho bisogno di un risarcimento da parte dello Stato. Ho anche dei debiti. Intanto, magari mi dia mille euro al mese…”. L’ex pastore sardo, 60 anni, ha trascorso quasi 33 in carcere in quanto condannato all’ergastolo con l’accusa di essere l’autore della strage di Sinnai (Cagliari) l’8 gennaio 1991 (tre morti e un ferito grave). Lo scorso 26 gennaio, però, nel processo di revisione, è stato assolto dalla Corte d’appello di Roma, che adesso ha depositato le motivazioni. “Come ho fatto a non impazzire in questi 33 in carcere? E’ difficile spiegarlo – dice l’ex pastore, visibilmente ancora molto provato - Pensavo: un giorno o l’altro devo uscire perché sono innocente. Mi hanno rubato la vita. Tutti, comunque, in carcere, mi trattavano bene. Sia i carcerati che le guardie. Erano convinti della mia innocenza”.
Rinchiuso in carcere due mesi prima di compiere 27 anni, Zuncheddu ne è uscito a 59 con l’ordinanza di scarcerazione disposta dalla Corte d’appello penale di Roma il 25 novembre 2023. E durante la detenzione, non essendosi mai dichiarato colpevole di un reato che non aveva commesso, non ha potuto usufruire degli istituti premiali previsti dalla legge. E’ stato recluso nella casa circondariale di Badu ‘e Carros, a Nuoro, nel vecchio istituto penitenziario di Cagliari e nel nuovo, quello di Uta. Di cella in cella, anno dopo anno, pur essendo innocente.
A Marsala, per il convegno “I tre grandi errori giudiziari. Enzo Tortora, Giuseppe Gulotta, Beniamino Zuncheddu”, anche l’avvocato Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere penali italiane. “Il numero dei gradi di giudizio, tre, che un ordinamento appresta a garanzia dell’imputato nell’accertamento di un fatto e delle relative responsabilità evidentemente non basta – ha affermato l’avvocato Petrelli - Ciò che, invece, conferisce qualità al giudizio, e quindi può servire a scongiurare l’errore giudiziario, è la qualità della prova. Nel nostro Paese, purtroppo, manca una vera e propria cultura della prova, una cultura del limite che di recente la Cassazione ha chiamato ‘la dialettica del dubbio’. Insomma, far prevalere sempre la virtù del ragionevole dubbio rispetto a quello che è l’obiettivo che spesso l’investigatore si dà. E non vi è un peggior compagno di viaggio, per la polizia giudiziaria, per il pubblico ministero e infine per il giudice, che l’idea di una responsabilità che diviene premessa della ricerca della prova. Questo è quello che accade nella maggior parte dei casi ed è quello che è accaduto anche nella terribile vicenda che ha visto vittima il povero Zuncheddu”.
Quest’ultimo, all’ingresso del Teatro comunale “Eliodoro Sollima” ha incontrato per la prima volta e abbracciato l’alcamese Giuseppe Gulotta, anche lui vittima di un clamoroso errore giudiziario: 22 anni in carcere, prima dell’assoluzione nel processo di revisione, per l’uccisione di due carabinieri nella stazione di Alcamo Marina. Al convegno organizzato dalla Camera penale di Marsala ha partecipato anche l’ex senatrice Francesca Scopelliti, che fu compagna di Enzo Tortora ed è presidente della Fondazione a lui intitolata.