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06/08/2024 06:00:00

Giù la maschera. E' morto Nicastri, viva Nicastri

Il 16 luglio 2024 è morto Vito Nicastri. L’epica popolare emersa attorno alla sua persona lo dipinge come il tipico self-made-man (uomo che si è fatto da solo) passato da umile elettricista a geniale imprenditore con un patrimonio di miliardi di euro. Questa narrazione si scontra con quella delle cronache giudiziare. Si accendono i riflettori della magistratura e presto arrivano le confessioni, le misure di prevenzione, il patteggiamento, le condanne, le misure di detenzione, le confische, finanche le assoluzioni, il tutto nel giro di 30 anni.

È morto Vito Nicastri, evviva Vito Nicastri. Pensando a questo pezzo non riesco a decidermi sul formato. Un memoriale, un epitaffio, una critica post-mortem, una narrazione inaffadibile per tenere insieme spettacolo e realtà, tutte strade possibili, ma quello che continua ad echeggiare nel mio cervello è questo mantra: é morto Vito Nicastri, evviva Vito Nicastri.

“U sintisti, murii Nicastri!” (Hai sentito, è morto Nicastri)
“‘ ’n cuscenza, era un bravu cristianu” (In verità, era un brav’uomo)
“ci avianu livatu l’ ’nciuria di mafiusu” (lo avevano assolto dall’accusa di essere mafioso)
“a iddu ama a ringrazziari, si cca li picciotti travagghianu” (a lui dobbiamo ringraziare, se qui i giovani lavorano)

Ore 10.00 del mattino Harri’s Bar, incrocio Viale Europa - Via Maria Riposo, crocevia dell’economia alcamese, ritrovo di sinsali e di viddani (sensali e agricoltori). Non mi giro per guardarli. La loro lingua è la mia lingua. Con gli occhi chiusi posso disegnare a memoria i loro volti bruciati dal sole, gli occhi infossati per proteggersi dalla luce. In effetti, qui c’è troppa luce. La stima dei valori di irraggiamento in Italia è compresa tra i 1.200 e 1.700 kWh/ m2 all’anno con una discrepanza tra Nord e Sud del 40%. In provincia di Trapani questo dato si aggira attorno a 1.650 kWh/ m2. Nel 2022 la distribuzione provinciale della potenza installata, condizionata dalla presenza delle installazioni ubicate a terra di grossa taglia, premia la provincia di Viterbo (4,7% del totale) seguita dalla provincia di Brescia (4,1%), Cagliari (3,7%) e Trapani (3,3%).

C’aveva visto lungo Vito Nicastri. Era il 2009 quando il Financial Time scriveva <<wind power is now passé as the market is virtually saturated for big developments. The future, they say, is solar. Mr Nicastri is applying for permits for nine large solar power plants.>> (L'energia eolica è ormai superata perché il mercato è praticamente saturo per i grandi sviluppi. Il futuro, dicono, è il solare. Il signor Nicastri sta richiedendo i permessi per nove grandi impianti solari). Lo stesso articolo che lo incoronava “King of Wind” (Re del Vento) introduceva il suo radioso futuro nell’energia solare con grandi profitti per le multinazionali, manodopera locale, tecnologie sviluppate con processi di estrazione di terre rare e consumo di suolo fertile.

È di un anno fa la notizia che Vito Nicastri è stato assolto dall’accusa più infamante, Vito Nicastri non è un mafioso. La notizia è di quelle che scatena i social e tanti nei commenti dei post che rilanciano la notizia si schierano con l’ormai defunto. Vito Nicastri non è un mafioso. Me ne faccio una ragione. Del resto è ambigua l’emersione di questo fenomeno criminale. Ambiguo come il potere che governa questo territorio, il Bel Paese.

La storia di Vito Nicastri inizia nell’interregno tra Prima e Seconda Repubblica Italiana. Mi imbatto in un documento, il decreto n.14/2013 m.p. del Tribunale di Trapani, Sezione Misure di Prevenzione, all’interno del procedimento per la confisca dei beni di Vito Nicastri (n. 68/2010 R.G.M.P). Nelle 371 pagine si leggono le motivazioni del provvedimento di confisca - alla storia come la più grande confisca di beni della Repubblica Italiana. Le motivazioni mettono in luce una storia Italiana, una storia della Seconda Repubblica, non una storia di Mafia.

Vito Nicastri viene travolto durante i primi anni 90 da un’indagine su reati contro la pubblica amministrazione. Me lo immagino il 9 giugno 1994 presentarsi ai PM con un appunto e chiamare in correità politici, tecnici, funzionari regionali e imprenditori. Denunciare un sistema di connivenze amministrative, fare i nomi dei capimafia locali a cui aveva versato denaro in cambio di protezione e rimanere ondivago quando si tratta del potere politico.

In qualche modo ricorda l’epopea di un altro grande imprenditore italiano, Silvio Berlusconi. I due, al di là delle vicende giudiziarie e del periodo storico in cui sono vissuti, conividono un chiaro senso per gli affari, il gusto per le scatole cinesi e la capacità di ottenere provvedimenti legislativi in grado di favorire lo sviluppo delle proprie attività imprenditoriali. La narrazione epica emersa attorno al loro personaggio li consegna agli onori della Seconda Repubblica con formula semplicissima: hanno dato vita a grandi industrie creando milioni di posti di lavoro per gli italiani.

Questo è il mito della Seconda Repubblica: grandi epiche popolari, semi cavalleresche, fondate sul miracolo del lavoro, per nascondere il marcio delle architetture economiche e delle strutture politiche; che siano le 22 Holding di Silvio Berlusconi o le 43 tra società e partecipazioni collegate nella Holding Nicastri, poco importa. L’altra cosa che balza all’occhio è l’utilizzo del linguaggio italiano in maniera volgare e performativa, creando da un lato il transfert tra popolo e self-made-man, dall’altro disvelando il reale attraverso uno stile politicamente scorretto. Proprio in questi giorni Trump sta costruendo la sua campagna elettorale su questo modello, inventato anni fa da Silvio Berlusconi; prima della sparatoria di Butler, esiste il lancio della Statuetta del Duomo.

“I am not a prostitute for everyone. There are other prostitutes for the others.” (Non sono la prostituta di tutti. Ci sono altre prostitute per gli altri). riporta il Financial Time. “Questi lavori senza di me non li farete perchè sul territorio non ve li faranno fare perchè non conoscete ‘u zu totò o u zu Nicola del posto” oppure “quann’è accussì l’avemu no ‘u culu” (rispettivamente pagg. 88 e 90 decreto n.14/2013 m.p. del Tribunale di Trapani, Sezione Misure di Prevenzione).
Grazie alle sue confessioni, riusciamo ad entrare negli ingranggi del potere amministrativo, di alcune delle stanze più inquinate dalle infiltrazioni di interessi privati, le stanze degli Assessorati Regionali. “Un’autorizzazione, diciamo, rilasciata dal funzionario per me valeva qualche milione di euro, per cui andare a concedere, senza che mi fosse stato chiesto, 10 mila euro, 5 mila euro, quelli che erano, era un atto di generosità… di ringraziamento.” Quest’uso spregiudicato della lingua, in grado di manipolare la reatà, trasformando una tangente in un regalo, si connette ad un’arte gestuale in grado di rafforzare il messaggio della sua comunicazione.

“...io posso fare deposizioni… non per accusare altri… accusare altri è infame…mi chiarisce i fatti.. poi a conclusione a conclusione di questo fatto voi ritenete che io devo essere..non è che io posso dire sugnu mafiusu… chiddu è mafiusu… chidd’atru è mafiusu.. e poi mi metto così e aspetto quello che mi aspetto…” Me lo vedo così, braccia conserte che “aspetta quello che lo aspetta”. Una specie di personaggio beckettiano che dice cose che lo mettono nei guai, ma che mai si sognerebbe di infamare qualcuno, se non sé stesso.

Come se fosse una maschera di un teatro espanso, dove i media sono i riflettori, la scena è ovunque, le battute vengono intercettate, e le cui affermazioni svelano e portano alla luce quello che tutti immaginano ma nessuno vuole vedere; uno Stato la cui classe dirigente è l’espressione culturale peggiore, partiti che profittano di grandi pacchetti di voti e che hanno bisogno di ingenti finanziamenti per sostenere la loro azione politica.

Vito Nicasti è nella mischia di questa Seconda Repubblica, quella che in inglese si defininisce “scrum” (mischia). Parola ambigua, mutuata dal rugby all’informatica per definire “un frame di processo utilizzato dai primi anni novanta per gestire lo sviluppo di prodotti complessi.” Un approccio alla pianificazione e alla gestione di progetti che mira a portare l'autorità decisionale al livello della proprietà. Ed è questo che vogliono da Vito Nicastri le grandi multinazionali dell’energia che investono in provincia di Trapani, un livello di sovranità diretto sul territorio, ingrado di bypassare le pastoie amministrative ed avere il supporto degli attori locali, mafiosi o meno, questo non cambia lo schema.

Del resto il job-title (titolo professionale) di Vito Nicastri, affibbiatogli negli ambienti dell’industria multinazionale dell’energia, è quello di “developer” (sviluppatore). Il termine inglese “developer” , mutuato dal liguaggio tecnico della fotografia, indica il venire alla luce di un’immagine dal buio. Il termine tecnico finisce per assumere un significato generico e indicare “coloro i quali si occupano dello sviluppo di prodotti”. E dei prodotti, non possiamo fare a meno, e con tutta questa luce in questa provincia, un altro “developer” emergerà.

Vito Nicastri è morto, evviva Vito Nicastri. Sono passati dei giorni, ma l’immagine della sua foto segnaletica mi rincorre come un fantasma. Faccio questo esercizio di sovrapposizione della stessa a quella del suo corpo. Negli ultimi anni, dopo la scarcerazione, avevo cominciato a vederlo in giro, qui ad Alcamo. In particolare, lo vedevo passare in Via XV Maggio all’altezza dei numeri 29 e 31.  Un complesso immobiliare nel centro di Alcamo, che il Comune, durante l’amministrazione del Sindaco Surdi, dopo la confisca del bene, ha destinato a residenza e luogo di produzione per artisti. Conosco bene l’immobile perchè con l’associazione Landescape, che rappresento, abbiamo usufruito più volte del bene, mettendolo a sistema nel processo di istituzionalizzazione del MACA - Museo Arte Contemporanea Alcamo di cui ci occupiamo dal 2021. In quella casa e di quella casa ho moltissimi ricordi. Come fantasmi, i ricordi si affollano nelle mie giornate qui ad Alcamo, cercando di ridare a me stesso un’immagine chiara e nitida di quello che si è fatto, delle opere prodotte, di come si son spesi i soldi pubblici, di come si è organicamente generata un’impresa culturale, di come si son messi a reddito i beni comuni, di come si è lottato per una pubblica amministrazione efficiente e dinamica, e di come tutte le cose finiscono, e anche le immagini più chiare e luminose tendono a ritornare al buio, all’onirico, al mondo a cui appartengono".

Il 7 settembre prossimo presenteremo Portali e Spazi-tempo, l’ultimo atto della direzione artistica di Landescape del MACA - Museo Arte Contemporanea Alcamo, con le opere di Matilde Cassani, Francesco Simeti, Andrea Sala e le performance di Maziar Firouzi, Alexia Sarantopoulou e Onda Quadri, e il nuovo percorso di fruizione della collezione, progetto finanziato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Una storia durata 5 anni e che si appresta a finire, di cui a sua insaputa Vito Nicastri è stato un agente. A Casa degli Artisti, l’architettura ti parla di lui, del suo gusto, della sua concezione degli spazi. La jacuzi, gli inserti in rame, la cassaforte, il giardino, le stanze degli ospiti, il camino, i muri di pietra; frammenti di un’estetica riconoscibile. L’arredo, raccattato nei depositi comunali, ricrea il dispositivo della burocrazia, del potere amministrativo, il suo tratto tipico. Chissà se questa emergerà come l’estica della Seconda Repubblica: Beni Confiscati alla Mafia arredati e decorati come se fossero delle appendici di quelle stanze degli Assessorati Regionali.

Adesso è tardi. Avrei voluto chiedere delle cose a Vito Nicastri, della sua umanità, del senso di essere un “developer” in un territorio colonizzato, del senso di esser strumento nelle mani di capitali internazionali - i veri owner (proprietari) degli impianti realizzati -, di essere specchio di una società dove il valore è dato dal numero per secondo delle circolazioni del capitale iniziale, fare due chiacchiere sulla fine della Seconda Repubblica e quello che verrà. Del resto una volta caduta quella di Mafia, le altre condanne riguardano l’interpretazione dei fatti che hanno portato Vito Nicastri ad esser “the King of Wind”, e come si sa nella Seconda Repubblica delle frodi, delle intestazioni fittizie, delle corruzioni, delle tangenti pagate, il popolo sovrano pensa che così fan tutti, che si tratti di costume, e non di un reato.

Allora giù la maschera, è morto Vito Nicastri, evviva Vito Nicastri.  

Leonardo Ruvolo