A essere sinceri, non si tratta di una guida turistica. Eppure The Passenger. Sicilia a una prima occhiata la ricorda: una bella Lonely Planet da collezione, una di quelle da regalare o da sfoggiare in libreria. Con un'unica piccola (ma sostanziale) differenza: perché, se il volume Lonely Planet dedicato alla Sicilia è un’enciclopedia di bellezza sicula, di The Passenger. Sicilia edito da Iperborea potremmo dire il contrario. È una wiki sullo sfacelo. E infatti lo racconta tutto, talvolta pure enfatizzandolo, quasi a voler soddisfare un certo gusto malsano per le terre infelici. Mi ha ricordato la narrazione cristiano-coloniale del continente africano: il terzo mondo, le spedizioni missionarie per espiare i peccatori, la terra da salvare.
Per la verità i primi due testi raccolti nel libro ci provano, ad andare in controtendenza. Il primo, scritto da Gaetano Savatteri, con un titolo che è già emblematico (“Non esiste più la Sicilia di una volta”) tenta, riuscendoci per fortuna, di descrivere un’isola che si è oggi evoluta, finalmente lontana – nel tempo, e non solo – dagli anni delle stragi di mafia e dall’immagine del siciliano con la lupara e la coppola che è sempre piaciuta alla tv e alla cinematografia. Una Sicilia del «del cibo e del vino», una Sicilia «del sesso», «gay», «urbana e metropolitana», cioè quindi cambiata e moderna, non troppo diversa da altre regioni d’Europa.
Qualche pagina dopo, Giacomo Di Girolamo si mantiene sulla stessa linea mentre ci mostra lo spirito di adattamento degli agricoltori siciliani, per niente arresi al cambiamento climatico, ma anzi pronti a sfruttarlo a loro vantaggio. “Tropico di Sicilia” è l’approfondimento forse più realistico di The Passenger. Sicilia, quello che fotografa una realtà – cioè quella dell’agricoltura – così per com’è oggi, senza esprimere giudizi di sorta, al massimo ponendosi alcune domande rilevanti.
Di lì a poco, però, l’intero volume precipita verso un abisso di banalità, di stereotipi, di pregiudizi che a leggerli, da siciliani, si avverte quasi una fitta al cuore. Alcuni passaggi, addirittura, hanno l’aria di cattiverie gratuite messe lì per chissà quale ragione. Come succede nel testo di Viola Di Grado, scrittrice di origini catanesi, che nel suo pezzo a pagina 137 definisce il siciliano «una lingua di violenza», complice un episodio di bullismo che – da come viene raccontato – pare quasi un problema endemico dei territori dell’Etna e della Sicilia tutta, un fenomeno che non supera lo Stretto.
C’è poi il racconto di Stefania Auci, che ci presenta il direttore del Parco Archeologico di Segesta come un Don Chisciotte contro i mulini a vento, c’è una Palermo città della droga in pieno centro raccontata da Fabio Lo Verso, ci sono quartieri periferici tipo l’Arenella che fanno paura come la tana del lupo agli insegnanti di prima leva. E ancora Lampedusa schiacciata dai migranti, la Sicilia come regno delle opere incompiuti… Persino il Cretto di Burri, che è forse il posto più suggestivo della Sicilia Occidentale, e ancora emoziona e commuove gente da tutto il mondo, finisce – nell’approfondimento di Veronica Caprino e Claudia Durasanti, “Alla ricerca del cemento mai perduto” – nell’elenco degli incompiuti, così, distrattamente, con il suo nome burocratico: “Progetto per la messa in sicurezza dei ruderi”.
È chiaro: raccontare la Sicilia come idillio è sicuramente banale, nonché controproducente. Ma nel lavoro di selezione dei testi inclusi in The Passenger. Sicilia c’è un filo conduttore evidente, reso ancora più esplicito dalle fotografie di Rosalena Ramistella, il cui talento fotografico è straordinario e innegabile (qui il suo profilo Instagram) ma che qui si esprime secondo un preciso dettame, cioè quello di rappresentare una Sicilia sfortunata, abitata da sfortunati. Ne è la prova lampante una foto, inserita verso la fine del volume, tra le pagine un testo che cita Brancaccio en passant in merito alla cinematografia sicula.
La foto ritrae una giovane donna, in un abito rosa sgargiante, con in braccio un bambino: alle sue spalle, terreno e erba selvaggia; sullo sfondo, uno dei palazzoni del quartiere; ai suoi piedi, niente. La giovane donna non ha le scarpe. Un contrasto fortissimo con il suo vestito elegante, ma anche con lo scenario urbano attorno. In più, è una foto (su Instagram si può vedere qui) che arriva dopo centinaia di pagine sul degrado della Sicilia e che, in effetti, sa di degrado. Ma è questo l’intento, il messaggio originario? Quasi certamente no, se consideriamo che la fotografia in questione è tratta da un reportage di Rosalena Ramistella, dal titolo Generazione Alpha, dedicato ai nuovi nati in Sicilia, alle loro speranze o paure. Non c’è giudizio in quello scatto, non c’è degrado. Al contrario c’è una realtà specifica – e caratteristica – che è quella di Brancaccio, diversa dalla realtà di altri quartieri palermitani.
Quello che si nota, quindi, leggendo questo volume, è la volontà di piegare il racconto della Sicilia, la sua immagine, a una narrazione già scritta ma non da noi. Perché, se è vero che a ogni testo corrisponde un autore (e sono tutti autori siciliani, quelli di The Passenger. Sicilia), è vero anche che sfogliando il volume si percepisce un tratto di penna che è molto più forte e mercato degli altri: il tratto di penna dell’editore, che ha immaginato una certa Sicilia e così l’ha ricostruita, selezionando i testi e mettendoli poi in ordine.
Verso le ultime pagine, dopo tutto questo sfacelo stampato su carta, è facile farsi cogliere da un dubbio. E cioè: che ci facciamo ancora qui, in Sicilia, in un posto senza speranza? Siamo ben lontani dal sentimento del restare, insomma; ci coglie il sentimento opposto, quello del fuggire per cercare rifugio, rinunciando a salvare il salvabile. L’ideale sarebbe non farsi trascinare.
Daria Costanzo