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25/09/2024 06:00:00

 Un anno fa moriva Matteo Messina Denaro

25 settembre 2023, ospedale San Salvatore, L’Aquila. Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano, l’ultimo degli stragisti di cosa nostra, latitante per 30 anni, esala l’ultimo respiro. Muore nella stanza, sorvegliata, dell’ospedale a pochi chilometri dal carcere di massima sicurezza de L’Aquila, dove ha trascorso gli ultimi otto mesi di vita. Stroncato da un cancro al colon che ne ha decretato non solo la morte ma ha anche agevolato il suo arresto dopo 30 anni di latitanza. Cattura avvenuta il 16 gennaio 2023, proprio alla clinica la Maddalena di Palermo, dove era in cura.


Una vita criminale segnata da stragi e omicidi
Matteo Messina Denaro, conosciuto come "U Siccu" e "Diabolik", è nato a Castelvetrano il 26 aprile 1962. Fin da giovane ha seguito le orme del padre Francesco, divenendo uno dei più importanti capi di Cosa Nostra. Il suo nome è legato a eventi tragici come la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Messina Denaro è stato organizzatore e mandante degli attentati del 1993. Fu inoltre mandante del rapimento e dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, che fu sciolto nell'acido dopo 25 mesi di prigionia.


Nonostante il suo coinvolgimento in questi crimini orribili, Messina Denaro riuscì a sfuggire alla cattura per quasi tre decenni, diventando uno dei criminali più ricercati al mondo. La sua rete di fiancheggiatori, composta da familiari e fedeli collaboratori, lo ha protetto fino al giorno del suo arresto a Palermo, dove si trovava per cure mediche.

 

Nel corso della sua carriera criminale ha collezionato decine di omicidi. “Con le persone che ho ucciso potrei riempire un cimitero”, diceva.
Un boss anomalo, mai sposato, ha avuto diverse amanti. Una figlia, Lorenza, riconosciuta solo poco prima di morire.
Messina Denaro è stato l’artefice di una trasformazione di cosa nostra, più silenziosa e imprenditoriale, che fa affari nella grande distribuzione e nelle energie rinnovabili.

La latitanza di Messina Denaro è stata lunga e sicuramente favorita da coperture istituzionali. Durante i 30 anni di latitanza Messina Denaro ha viaggiato per il mondo. Ma alla fine si trovava lì, nel suo territorio. A Campobello di Mazara, a due passi dalla sua Castelvetrano, protetto dai suoi fedelissimi.
Gli ultimi anni di latitanza, infatti, Messina Denaro li ha trascorsi a Campobello. Faceva una vita tranquilla, alla luce del sole. Usciva, aveva un’auto, aveva dei rapporti amorosi, andava al supermercato. Era circondato da una rete di fiancheggiatori. Dopo il suo arresto la domanda che tutti si sono fatti era semplice: “possibile che nessuno a Campobello si fosse accorto di nulla?”.

 


Dall'arresto alla morte
Dopo il suo arresto, Messina Denaro è stato trasferito al carcere di massima sicurezza de L'Aquila, dove ha trascorso gli ultimi otto mesi della sua vita. Affetto da un grave tumore al colon, il boss ha ricevuto le cure mediche all'interno del penitenziario, ma le sue condizioni continuarono a peggiorare fino alla morte. Durante questo periodo, non collaborò con la giustizia e rifiutò di pentirsi, respingendo le accuse di appartenenza a Cosa Nostra e negando il suo coinvolgimento nelle stragi e negli omicidi.
Al boss lo Stato ha garantito le cure che si devono ad ogni persona. L’arresto di Messina Denaro è stata una brillante operazione, ma è anche vero che è stata favorita dalle condizioni di salute del boss, uscito allo scoperto per curarsi.
La salma torna a Castelvetrano due giorni dopo la morte. Ad attenderla i familiari più stretti. Non ci saranno funerali pubblici, come disposto dal Questore. Al cimitero di Castelvetrano c’è la sorella Giovanna, il fratello Salvatore, i nipoti. C’è anche la figlia Lorenza, riconosciuta poche settimane prima della morte. La salma viene tumulata nella cappella di famiglia. E’ l’ultimo atto.

 

 


La rete di fiancheggiatori
Mentre la figura di Matteo Messina Denaro si spegneva, le indagini continuavano a svelare la rete di complicità che ha permesso la sua latitanza. Oggi, a un anno dalla sua morte, proseguono i processi a coloro che lo hanno aiutato a nascondersi. Alcuni processi sono già arrivati ad un verdetto. Come quello alla sorella Rosalia Messina Denaro, condannata a 14 anni di carcere. Stessa condanna per Andrea Bonafede, il geometra di Campobello che ha prestato l’identità al boss.
Sono in corso diversi processi poi a chi avrebbe aiutato il boss durante la latitanza, dai vivandieri, a Laura Bonafede, l’amante di Messina Denaro, e poi anche quello alla figlia Martina Gentile. Proprio oggi si tiene un’udienza del processo al dottor Alfonso Tumbarello, medico di base di Campobello di Mazara, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atti pubblici.
Tumbarello è imputato per aver redatto numerosi certificati medici a nome di “Andrea Bonafede”, l'identità falsa utilizzata da Messina Denaro per curarsi. Nell’udienza di oggi saranno formulate le ultime richieste di prova, segnando l'inizio della fase finale del processo. Le accuse contro Tumbarello rappresentano solo uno dei numerosi procedimenti in corso contro coloro che hanno favorito la latitanza di Messina Denaro, dimostrando quanto fosse radicata la rete di protezione attorno al boss.


Le ultime indagini
Nel frattempo continuano le indagini per cercare di ricostruire la rete di favoreggiatori non solo dell’ultimo periodo di latitanza. Durante le perquisizioni effettuate dopo il suo arresto, gli investigatori hanno trovato 122 chiavi che aprono vari garage e appartamenti tra Mazara del Vallo e Castelvetrano. Alcuni di questi luoghi potrebbero essere stati utilizzati come rifugi dal boss durante la sua latitanza. Tra i ritrovamenti più curiosi ci sono anche delle lettere scritte da un detenuto, il marsalese, Massimo Antonino Sfraga, che potrebbero far luce su ulteriori legami mafiosi e sulle complicità tra Cosa Nostra e altre organizzazioni criminali.
Le indagini continuano a scavare nel passato di Messina Denaro, cercando di chiarire come sia riuscito a restare nascosto per così tanto tempo e chi lo abbia aiutato. Il caso resta ancora aperto, e gli investigatori sono determinati a scoprire tutta la verità su uno dei periodi più oscuri della storia mafiosa siciliana.