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30/09/2024 06:00:00

Intervista a Salvatore Vaccarino sul film Iddu, “Non riuscivo a guardare nemmeno il trailer”

 Salvatore è il figlio di Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che nei primi anni del 2000 intrattenne una corrispondenza con Matteo Messina Denaro per conto dei servizi segreti, finalizzata alla sua cattura. È lui ad aver detto no alla proiezione del film di Grassadonia e Piazza, “Iddu”. Anche perché è proprietario dell’unico cinema di Castelvetrano, che fino a pochi anni fa era di suo padre. Dopo aver visto il trailer, ha detto no. Tutto qui. Non c’entrano niente le facili dietrologie sull’omertà dei castelvetranesi o sulle coperture locali alla latitanza del boss. E’ probabile che al suo posto, tutti noi avremmo fatto la stessa cosa.

 

La pellicola “Iddu”, che uscirà nelle sale cinematografiche il 10 ottobre, è liberamente ispirata al carteggio del boss con Svetonio. Anche se quest’ultimo, che nella realtà è appunto l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, nel film diventa Catello.

Abbiamo incontrato Salvatore Vaccarino, al quale abbiamo fatto qualche domanda.

 

Cosa risponde a coloro che pensano che il no alla proiezione di “Iddu” a Castelvetrano sia il sintomo di una mentalità omertosa che non vuole parlare di mafia?

 

Che non hanno capito niente. A me la mafia e la mentalità mafiosa mi hanno sempre fatto schifo. Bisogna parlare di mafia, certo, ma Matteo Messina Denaro si merita di cadere nell’oblio più profondo. Non sopporto che si inneggi ad un delinquente con il rischio che si alimenti un mito. Che possa diventare un modello da seguire, è orribile solo a pensarlo. E sono sicuro che ci sono tante persone per bene che a Castelvetrano la pensano come me. Ecco perché, il 10 ottobre, al posto di “Iddu” proietterò “Falcone e Borsellino. Il fuoco della memoria”, di Ambrogio Crespi, un docufilm che spiega i fatti di mafia ed il contesto del 1992, perfetto soprattutto per coloro che in quegli anni non erano ancora nati e hanno bisogno di esempi e storie di veri eroi che la mafia l’hanno combattuta sul serio.

 

Cosa l’ha colpito del trailer di “Iddu”?

 

C’ho messo due settimane per guardarlo. Per me non è stato affatto facile, dopo le prime scene, non riuscivo a continuare ed interrompevo il video.

Mio padre viene dipinto dome un delinquente, con quelle espressioni, quel modo di parlare da mafioso, amico di mafiosi... È l’opposto di quello che era in realtà, aperto con tutti per dimostrare la sua innocenza e cercare la verità. Dal trailer, lo si vede in carcere, mentre i servizi segreti gli propongono una collaborazione in cambio della sua libertà. Ma la realtà è ben diversa, perché quando ha incontrato i servizi mio padre era già libero da anni. E poi non sono stati loro ad andare da lui, ma lui che si è proposto. Dopo l’inferno che ha vissuto per 5 lunghi anni, fino al 1997, una volta fuori dal carcere ha dedicato la sua vita a cercare la verità. Anche se l’accusa di mafia per la quale in primo grado era stato condannato a 18 anni di carcere, in Appello era caduta, rimaneva sempre l’assurdità del traffico di droga con una condanna, chissà come mai, esattamente coincidente con il periodo di carcerazione preventiva. Ma che non c’entrasse nulla nemmeno con quel traffico di droga, lo sapevano in tanti anche tra le forze dell’ordine. Lui non riusciva a vivere con questo marchio, non l’ha mai sopportato. E si fa presto a ricordare quella condanna in articoli di giornale pieni di superficialità, senza spiegare altro. Senza aggiungere che per quella condanna degli anni ’90 era a buon punto il processo di revisione.

 

Un processo di revisione che rallentò dopo che suo padre venne arrestato nuovamente nel 2019, insieme ad un appuntato scelto dei carabinieri e ad un tenente colonnello della Direzione Investigativa Antimafia di Caltanissetta (leggi l’approfondimento di Tp24). È così?

 

Esatto. Dopo l’arresto di mio padre del 2019, il processo di revisione subì un grosso rallentamento. Eravamo quasi al traguardo, lo stesso procuratore generale di Catania aveva chiesto la revoca della sentenza. Con gli avvocati andai a Catania, all’udienza in cui avrebbero certificato la revisione, convinto di ritornare con una buona notizia per mio padre, che in quel momento si trovava di nuovo in carcere ingiustamente. Ma la Corte di Appello di Catania si dichiarò incompetente per territorio e gli atti passarono a Caltanissetta, per ricominciare daccapo. Dopo la sua morte, poi si fermò tutto.

 

Suo padre è morto in carcere a 76 anni.

 

Sì, mio padre è morto in carcere perché non lo hanno voluto curare.

Aveva una grave cardiopatia e, già prima dell’arresto del 2019 si stava preparando per ricevere un intervento. Invece, in carcere non ha più avuto la possibilità di fare le sue visite specialistiche e prima di morire ebbe due infarti. Poi il Covid gli ha dato il colpo di grazia. Noi familiari abbiamo chiesto più volte che gli venissero dati gli arresti domiciliari, ma niente da fare. Non siamo stati ascoltati nemmeno quando abbiamo chiesto di curarlo anche in regime di detenzione. Ma di cosa avevano paura? Che mio padre scappasse, dopo trent’anni di battaglie? Che inquinasse le prove? Ma che prove avrebbe potuto inquinare? Ci sarebbe bisogno di verità anche su questo.  

 

Ci parli di questa condanna degli anni ’90 per traffico di droga.

 

La condanna per traffico di droga arriva dopo un percorso assurdo. Mio padre, nel 1992 è stato arrestato esclusivamente per le dichiarazioni di un falso pentito, Vincenzo Calcara, che allora fu presentato come la voce della verità. Lì è cominciato il suo inferno, massacrato di botte a Pianosa, ha dovuto aspettare un processo che finì nel 1995, con una condanna a 18 anni in primo grado per mafia e traffico di droga. In secondo grado invece, l’accusa di mafia è caduta, ma è rimasta quella per droga, sempre esclusivamente sulla base delle sole dichiarazioni di Calcara, ed è stato condannato alla pena che nel frattempo aveva già scontato come carcerazione preventiva.

E come si sarebbe svolto questo traffico di droga? Secondo il racconto di Vincenzo Calcara, che lavorava in aeroporto a Milano, nel 1981, un turco atterrava con delle grosse valigie piene di droga e gliele consegnava. Calcara poi consegnava la droga ad un tizio che, con un camion, la portava in Sicilia alla raffineria di Alcamo. Tutto architettato da mio padre. Peccato che poi il turco, nello stesso periodo indicato da Calcara si trovasse in Turchia, in carcere. E che l’autista che aveva accusato non avesse nemmeno la patente. Ma chissà come mai, l’accusa ha retto lo stesso. E mentre aspettiamo che ci spieghino questo ed altri “misteri”, la gente che non conosce i fatti si convince che invece “l’uomo dei misteri” era mio padre.

 

Il sindaco Giovanni Lentini ha detto che vuole provare a convincerla per farle cambiare idea e proiettare Iddu anche nel suo cinema. È una cosa possibile?

 

Col sindaco ci siamo incontrati e abbiamo parlato a lungo. Gli ho spiegato le mie ragioni. Credo che le abbia condivise.

 

Egidio Morici