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27/10/2024 06:00:00

A Palermo Il Sole 24 Ore parla del settore culturale

 «L’Italia procede a due velocità, ma se è vero che al nord si produce valore, è vero anche il sud ha valore». Su questa premessa si è aperta ieri a Palermo la prima tappa degli Stati Generali della Cultura 2024, un ciclo di incontri organizzato da Il Sole 24 Ore per riflettere sullo stato attuale del settore culturale, da analizzare non soltanto in quanto industry, ma anche come veicolo di valori condivisi, come strumento di diplomazia e di promozione della pace. Il focus, data la location, non poteva essere che uno: il Mezzogiorno, che finalmente pare abbia preso consapevolezza del valore della cultura, anche in termini economici, e intrapreso così un percorso concreto di valorizzazione.

La manifestazione, rivolta soprattutto ai ragazzi delle scuole superiori, ha visto salire sul palco del Teatro Massimo Vittorio Emanuele il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla; l’assessore alla Cultura della Città di Palermo, Pietro Cannella; il presidente Fondazione Agrigento 2025, Giacomo Minio; la condirettrice artistica della compagnia Teatro dell’Argine, Micaela Casalboni, e altre figure di spicco del settore culturale italiano, attive anche a livello internazionale.

Tanti i temi affrontati: dal rinascimento culturale a cui ambire grazie alle scoperte sull’intelligenza artificiale, fino all'impatto trasformativo della cultura sulla società. Ampio spazio è stato dato anche all’arte teatrale, con un intervento di Paolo Ruffini che è stato, in effetti, l’unico a accendere un vero dibatto, rompendo gli schemi del linguaggio accademico e rivolgendosi direttamente ai ragazzi presenti nel pubblico.

Quali le conclusioni sullo stato del settore culturale

Ma quali sono state le conclusioni degli Stati Generali, se di conclusioni si può parlare? Quello che è emerso durante gli incontri è una verità che oggi appare incontrovertibile: il settore culturale, perché porti profitto, non può essere scisso dal settore turismo. Cultura e turismo vanno a braccetto e anzi, secondo le parole di Pietro Cannella, assessore alla Cultura di Palermo, è proprio il patrimonio culturale a rappresentare la proposta di valore della Sicilia, quella che riesce a trasformare l’isola in un brand, come già dimostrato con Palermo in occasione dei 400 anni di Santa Rosalia.

E allora, pur riconoscendo che la cultura produce «un dividendo sociale», come sottolineato Stefano Salis, giornalista di Il Sole 24 Ore, quello stesso impatto sociale perde rilevanza di fronte alla consapevolezza che la cultura, nella sua essenza, comporta un guadagno interiore piuttosto che economico. Così spiega il direttore generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri, Alessandro De Pedys: «Il valore della cultura, o il suo impatto, può essere misurato soltanto da indicatori di qualità, e non quantitativi. Un esempio è l’impatto sulla salute: la fruizione di prodotti culturali ci fa bene». Eppure è proprio questa difficoltà di misurazione in numeri del valore culturale che esclude dal settore alcuni attori fondamentali per lo sviluppo dei progetti, fra tutti gli istituti di credito, ancora oggi poco coinvolti nonostante gli sforzi messi in atto negli anni.

Dunque il dibattito rimane aperto. In una società improntata al profitto, che misura la sua evoluzione attraverso la lente del PIL e non sulla base del benessere di chi la abita, lo stato attuale del settore culturale non può che risultare carente. E questo vale anche, o soprattutto, in un contesto in cui la cultura diventa semplice leva per incentivare il turismo: perché così facendo non si dà all’arte la possibilità di essere voce, pagina, fotografia di ciò che siamo oggi. Piuttosto le si impone di esprimere quello dobbiamo, o vogliamo, essere per poter guadagnare di più.

Daria Costanzo