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07/12/2024 06:00:00

Il declino dell'auto italiana: identità perduta, sfide globali tra sostenibilità e occupazione a rischio

La storia dell'industria automobilistica italiana ha radici profonde e un valore culturale significativo: marchi come Fiat, Alfa Romeo, Lancia, hanno rappresentato per decenni eccellenza, innovazione e un pilastro dell'economia e dell'occupazione italiana. Tuttavia, negli ultimi decenni, il settore sta affrontando una crisi senza precedenti che minaccia di minare le sue fondamenta. Tra la globalizzazione, l’impatto della fusione di FCA con PSA con la nascita di Stellantis e le politiche europee che spingono verso la mobilità elettrica, la produzione automobilistica italiana ha subito un declino che si riflette in una perdita di identità per i marchi storici e in una crescente instabilità occupazionale.

L’Evoluzione della Produzione Automobilistica Italiana: Dagli Anni ’60 a Oggi
La produzione di automobili in Italia ha attraversato decenni di gloria, che hanno visto il Paese posizionarsi come uno dei leader mondiali dell’automotive.
• Anni ’60-’80: Durante questo periodo, l'industria automobilistica italiana ha vissuto il suo massimo splendore. La Fiat, principale produttore italiano, era sinonimo di mobilità per gli italiani e per milioni di europei. Negli anni ’70, la produzione annua superava spesso il milione di unità, con modelli iconici come la Fiat 500, la 126 e, successivamente, la Panda o la Uno che hanno segnato un’epoca.
• Anni ’90-2000: Anche se il settore continua a produrre in grandi quantità, si notano i primi segni di declino. La globalizzazione e l'apertura ai mercati esteri fanno sì che altre case automobilistiche, specialmente giapponesi e coreane, prendano piede sul mercato italiano, aumentando la concorrenza. La Fiat stessa riduce il numero di stabilimenti in Italia, e il Paese inizia a perdere posizioni rispetto a nazioni come la Germania.
• Anni 2010-2020: La crisi economica del 2008 ha colpito duramente l’industria italiana, portando a una riduzione drastica della produzione e del numero di lavoratori impiegati nel settore. Con la fusione tra FCA e il gruppo francese PSA, nasce Stellantis, un colosso automobilistico che tuttavia porta alla perdita dell’autonomia decisionale italiana a favore di una strategia globale gestita da Parigi. La produzione italiana è oggi un riflesso pallido dei numeri del passato, con meno di 700.000 veicoli prodotti all'anno.

I marchi italiani e la perdita dell’identità di un tempo
Uno degli effetti più visibili delle recenti trasformazioni è la perdita dell'identità storica dei marchi italiani. Alfa Romeo, nota per la sua tradizione di auto sportive ad alte prestazioni, monta ora motori di origine Peugeot. La Lancia, famosa per i suoi successi nei rally, ha rilanciato la linea HF, emblema di sportività, su un modello elettrico che si distacca completamente dalla tradizione. La fusione con PSA ha sicuramente ampliato il mercato per alcuni modelli, ma molti appassionati lamentano una perdita di autenticità, di "anima" nei veicoli di questi marchi iconici.
Maserati mantiene la sua identità, ma la scelta di bloccare la produzione della Levante e del motore V8 e di spingere sull’elettrico sta facendo perdere la quota di mercato e il Tridente vive un periodo non facile. La situazione di marchi popolari come Fiat e Lancia è diversa. Il rischio è che, con il tempo, questi brand vengano del tutto "spersonalizzati" e resi indistinguibili dai modelli di altre marche globali.

Politiche Europee e dominio delle Case Cinesi nel mercato elettrico
Il cambiamento radicale dell'industria automobilistica europea è stato accelerato dalle politiche comunitarie per la sostenibilità ambientale. Con l’entrata in vigore nell’aprile 2023 del provvedimento che, a partire dal 2035, permetterà la vendita solo di veicoli a zero emissioni, l’UE ha spinto le case automobilistiche verso una transizione elettrica che pone sfide enormi. Questo orientamento verso il full-electric, pur se concepito per ridurre l'inquinamento, favorisce le case automobilistiche cinesi, che già dominano la produzione mondiale di batterie e detengono la tecnologia necessaria per abbattere i costi e soddisfare la domanda.
Le case europee, meno preparate a una transizione così rapida, hanno quindi dovuto affidarsi ai fornitori asiatici, aumentando la dipendenza dall’import di batterie e componenti cruciali. Il mercato europeo rischia così di perdere competitività rispetto alla Cina, la cui industria automobilistica si sta imponendo a livello globale.

Problemi Ambientali e la Criticità della Transizione Full-Electric
L’approccio verso il full-electric, sebbene sembri la via più semplice per abbattere le emissioni, solleva notevoli criticità ambientali. La produzione di batterie su larga scala, necessaria per alimentare veicoli di grandi dimensioni richiede materiali rari e un notevole dispendio energetico. La Cina, uno dei principali produttori di batterie, utilizza principalmente centrali a carbone per alimentare la propria industria, creando un paradosso ambientale: veicoli a zero emissioni che, nella fase di produzione, generano inquinamento a livello globale.
Questa impostazione rischia di portare a una "sostenibilità apparente", in cui i veicoli elettrici contribuiscono a ridurre l’inquinamento urbano ma, al contempo, non diminuiscono l’impatto globale sul clima. Inoltre, senza un’infrastruttura di ricarica capillare, la transizione rischia di rallentare e rendere insostenibile l’intera filiera.

La crisi occupazionale: un settore storico minacciato
La contrazione della produzione automobilistica in Italia non è solo una questione economica, ma rappresenta anche una crisi sociale. L'industria automobilistica, che impiegava decine di migliaia di lavoratori diretti e indiretti negli anni '70 e '80, si è ridotta drammaticamente, con stabilimenti chiusi o ridimensionati, soprattutto in regioni tradizionalmente legate al settore, come Piemonte e Lombardia. Le fusioni e le delocalizzazioni hanno ridotto ulteriormente il numero di addetti, e la transizione verso l'elettrico porta nuove incertezze per i lavoratori, richiedendo competenze tecnologiche avanzate e una riqualificazione della forza lavoro che non tutti i territori possono facilmente realizzare.

La sfida per il Futuro: un modello di "Sostenibilità Diversificato"
Per affrontare questa crisi senza precedenti, appare necessario un ripensamento delle strategie di produzione e di mercato. In un settore ormai globalizzato e complesso, è essenziale un modello che non escluda il motore a combustione interna, almeno per specifici veicoli e segmenti di mercato. Incentivare soluzioni alternative come l’ibrido e le tecnologie a idrogeno potrebbe permettere di ridurre progressivamente l'impatto ambientale senza sacrificare le capacità produttive e occupazionali italiane ed europee.
Le case automobilistiche e i governi europei devono trovare un equilibrio tra innovazione tecnologica, protezione ambientale e salvaguardia dei posti di lavoro. Per il settore automobilistico italiano, questo potrebbe significare una seconda rinascita, capace di coniugare tradizione e futuro in un modo che sia economicamente sostenibile e, allo stesso tempo, rispettoso dell’ambiente e delle comunità locali.

I dati della produzione in calo nei primi sei mesi del 2024
Negli ultimi anni, la produzione automobilistica in Italia ha subito un drammatico declino. Il primo semestre del 2024 ha registrato una contrazione significativa: sono stati prodotti 303.510 veicoli, con una diminuzione del 25,2% rispetto allo stesso periodo del 2023. Tra i vari stabilimenti italiani, alcuni sono particolarmente colpiti, come Melfi (-57,6%), che ha visto una drastica riduzione nella produzione di modelli come la Fiat 500X e la Jeep Renegade e Compass, ormai prossime al pensionamento. A Mirafiori, il crollo è ancora più evidente: la produzione della Fiat 500 elettrica è scesa del 63%, mentre la linea Maserati è crollata del 70% rispetto all'anno precedente, principalmente a causa della fine della produzione di modelli storici come la Levante e della lenta transizione verso le versioni elettriche della linea Folgore. Anche Cassino è in sofferenza, con una diminuzione del 38,7% nella produzione, dove dominano modelli come l’Alfa Romeo Stelvio e la Maserati Grecale. Tuttavia, ci sono piani di rilancio con l'introduzione di una nuova piattaforma STLA large per i modelli futuri. Gli stabilimenti di Modena e Pomigliano d’Arco sono in una posizione leggermente migliore, con quest'ultimo che registra una crescita grazie alla domanda della Fiat Panda. Solo l’impianto di Atessa, specializzato nei veicoli commerciali, ha mantenuto un trend positivo, raggiungendo 117.000 unità prodotte, di cui una crescente quota elettrica.
Questi dati dipingono un quadro allarmante, con la produzione nazionale sempre più al di sotto delle aspettative e molto distante dall'obiettivo auspicato di un milione di vetture l'anno. La situazione si riflette negativamente sull’occupazione e sull’identità del comparto automotive italiano, un settore un tempo fiorente che ora cerca con difficoltà di adattarsi a nuove strategie e alle sfide imposte dalle transizioni tecnologiche ed ecologiche.

 

E’ vera sostenibilità la SUV elettrica da quasi tre tonnellate?

Un paradosso evidente nel mercato automobilistico contemporaneo è l’enorme diffusione di SUV elettrici di lusso, spesso del peso vicina alle tre tonnellate. Questi veicoli, sebbene elettrici e quindi a emissioni zero, pongono serie domande sulla reale sostenibilità della loro produzione e del loro utilizzo. La produzione di batterie di grandi dimensioni per alimentare SUV di questa stazza richiede risorse enormi e un'energia spesso generata da fonti non rinnovabili, come il carbone. Di conseguenza, l’impatto ambientale in termini di consumo energetico e di risorse è molto alto, sollevando dubbi su quanto effettivamente questa transizione verso SUV elettrici massicci contribuisca a migliorare la situazione ambientale globale.
In termini di mobilità urbana e di consumo responsabile, puntare invece sulle utilitarie e city car elettriche – più piccole, leggere e meno dispendiose da produrre – rappresenterebbe una scelta più coerente con gli obiettivi di sostenibilità. Le city car elettriche non solo richiedono meno materiali e hanno una minore impronta di carbonio complessiva, ma sono anche più adatte alla mobilità cittadina. Nonostante ciò, la tendenza dominante vede i principali marchi – da BMW ad Audi e Mercedes – concentrarsi su SUV elettrici di grandi dimensioni, attratti dal margine di profitto più elevato e dalla crescente domanda di questo segmento nel mercato globale.
Se si vuole davvero orientare l’automotive verso un futuro sostenibile, una strategia che privilegi vetture elettriche compatte ed efficienti sarebbe decisamente più in linea con le finalità ecologiche e sociali della transizione energetica, garantendo una riduzione effettiva delle risorse consumate e dell’inquinamento prodotto.

Crisi Stellantis e automotive europeo: riflessioni su una transizione in ritardo

La crisi che sta travolgendo Stellantis e il settore automotive europeo evidenzia ritardi strutturali e difficoltà nell'adattamento a un mercato in rapida evoluzione. Dal 2019, l’industria automobilistica del Vecchio Continente ha perso circa il 25% della produzione, un fenomeno che non si limita all’Europa, ma che si intreccia con sfide globali legate alla transizione verso la mobilità elettrica. Tra le problematiche principali emergono l’assenza di innovazione tecnologica, difficoltà nell’approvvigionamento di materiali critici (batterie, semiconduttori, minerali rari) e il fallimento di iniziative strategiche come le gigafactory per la produzione di accumulatori. In Italia, il progetto di Termoli è fermo, così come la più ambiziosa iniziativa europea della svedese Northvolt.

Il caso Stellantis: dati allarmanti e gestione incerta
Dalla sua nascita nel 2021, Stellantis ha perso 12.000 posti di lavoro diretti e altrettanti nell’indotto, in un clima di silenzio mediatico e politico. A ciò si aggiunge una forte contrazione degli ordini di componentistica, in particolare per il mercato tedesco, e il ricorso massiccio alla cassa integrazione negli stabilimenti italiani, utilizzata dall’azienda anche per ridurre le proprie emissioni. Sul fronte produttivo, Stellantis realizza meno di un terzo delle auto vendute in Italia ma è il gruppo che ha subito le maggiori perdite di mercato: nei primi mesi del 2024 ha registrato un calo del 41%. La gestione dell’ex CEO Carlos Tavares è stata caratterizzata da incertezze strategiche, sia nella transizione elettrica che nelle relazioni con i produttori cinesi.

La crisi dell’automotive: il paragone con la siderurgia
Il panorama europeo è aggravato dalla concorrenza asiatica, in particolare cinese, che segue un modello già visto nella siderurgia. La Cina, con la sua disponibilità di risorse naturali, energia a basso costo, standard ambientali minimi e sussidi statali massicci, è diventata il principale produttore mondiale di acciaio e alluminio in meno di dieci anni. Lo stesso schema si sta replicando nel settore automobilistico, ponendo l’Europa in una posizione sempre più marginalizzata. Anche la Germania, tradizionalmente forte nell’automotive, sconta errori strategici. La delocalizzazione di stabilimenti in Cina e gli accordi bilaterali hanno finito per rendere i produttori tedeschi marginali proprio in quel mercato. L’Italia, con un solo grande costruttore come Stellantis in difficoltà, è in una situazione ancora più critica.

Il ruolo delle persone e la necessità di una visione a lungo termine
La crisi mette in evidenza il fallimento di strategie basate esclusivamente su obiettivi finanziari e tagli, trascurando il valore delle persone e della pianificazione a lungo termine. In questo contesto, diventa inevitabile domandarsi dove fossero azionisti, media e politica mentre il settore perdeva terreno. Resta da sperare che, proprio in un momento così difficile, si torni a investire sulle persone e sul dialogo con i lavoratori, come era stato uno dei punti di forza dell’era Marchionne. Solo un rinnovato focus su innovazione, sostenibilità e valorizzazione delle competenze potrà aiutare il settore automotive europeo a ritrovare competitività.