Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
18/05/2010 06:32:48

Rinviati a giudizio due presunti fiancheggiatori di Messina Denaro

ritenuti fiancheggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro. Bonafede e Luppino furono arrestati un anno fa nell'ambito dell'operazione "Golem 1", coordinata dalla Dda di Palermo. Dovranno comparire l'8 luglio dinanzi al Tribunale di Marsala.

Nell'operazione Golem 1, quasi un anno fa, finirono in carcere insospettabili, ma anche imprenditori caseari e alcuni pregiudicati t. Le ordinanze di custodia cautelare, richieste dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, colpirono : Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell'Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.

Il boss latitante di Castelvetrano non ha mai incontrato personalmente i mafiosi palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo, agli incontri con loro il capomafia trapanese inviava sempre un suo “ambasciatore”, Franco Luppino. Luppino, insieme a Leonardo Bonafede, sono elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e forse gli uomini di cui Matteo Messina Denaro si fidava maggiormente. Gli imputati infatti, avrebbero gestito la latitanza del boss, controllando anche gli affari illeciti nel trapanese, mettendo le mani su varie attività economiche e su fondi regionali. In questi affari sarebbe stata coinvolta anche la moglie di Luppino, Lea Cataldo, arrestata. Il boss controllava anche un vasto traffico di droga che arrivava settimanalmente da Roma, gestito da Domenico Nardo, Franco Indelicato e Leonardo Bonafede.

Francesco Luppino alcuni anni addietro beneficiò dell'indulto e tornò libero dopo essere  stato condannato per un omicidio, evitò l'ergastolo ma anche la contestazione dell'associazione mafiosa perchè all'epoca esisteva Cosa Nostra ma non c'era la previsione dello specifico reato associativo introdotto con il 416 bis. E dunque quando fu applicato l'indulto, essendo quella condanna priva del 416 bis, lui riuscì a uscire dal carcere. Rimettendosi a disposizione delle cosche. Lui era in contatto per conto di Messina Denaro con le cosche palermitane.


Nel corso dell'udienza preliminare svoltasi nell'aula bunker di Pagliarelli, davanti al gup Marina Pitruzzella, hanno chiesto il rito abbreviato altri imputati: Lea Cataldo ed i fratelli Franco e Giuseppe Indelicato, indagati per intestazione fittizia di beni, ed ancora lo stesso rito alternativo a quello ordinario è stato chiesto da Domenico Nardo (avrebbe messo a disposizione del boss latitante Messina Denaro documenti falsi per permettergli spostamenti anche all'estero) e Giuseppe Arcà che rispondono di reati relativi allo spaccio di sostanze stupefacenti. L'udienza per il rito abbreviato è stata fissata  per il 31 maggio. A sostenere la pubblica accusa il pm Sara Micucci.
Il gup ha accolto la richiesta di costituzione come parte civile di Confindustria Trapani, con l'avv. Giuseppe Novara. Si è costituito parte civile il Comune di Campobello di Mazara.