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07/12/2010 10:42:20

Si indaga sulla morte di Maria Rosa Nicolicchia

Se l'esame del Dna appena compiuto su alcuni resti ossei ritrovati nel gennaio scorso ha accertato la sua morte, sono ancora ignote le cause del decesso. Le indagini, dunque, continuano.

LA STORIA - La donna era scomparsa il 2 maggio del 1990, all’età di 35 anni. L’8 marzo del 1990 aveva lasciato la sua famiglia per andare a convivere con un uomo nel palazzo di fronte al suo. Proprio il convivente ne aveva all’epoca denunciato l’allontanamento a bordo della Fiat 127. Le figlie della donna l’hanno cercata per anni inutilmente e del caso si era interessata anche la trasmissione televisiva «Chi l’ha visto?». La svolta arriva 20 anni dopo la scomparsa: a gennaio di quest'anno la 127 viene ritrovata, dietro segnalazione anonima, nelle campagne attorno a Castelvetrano. Sull’auto era crollato anche il soffitto di un’ala di un vecchio baglio. Per rimuovere la vegetazione e le macerie erano dovuti intervenire i vigili del fuoco e personale comunale. Sul caso indaga la Procura di Marsala e i carabinieri della Compagnia di Castelvetrano.

L'APPARTENENZA DEI RESTI - La conferma che si trattasse della donna scomparsa è arrivata sabato scorso dagli esami del Dna svolti all’istituto di Medicina legale presso il Policlinico di Palermo. Gli esami di laboratorio non hanno però potuto svelare la causa della morte della donna in quanto i resti ossei erano pochi e in pessime condizioni. Proprio per questa ragione, subito dopo l'esito degli esami, le indagini si sono concentrate sulle cause del decesso. Gli inquirenti non escludono sia la pista dell’omicidio che quella del suicidio.

SVILUPPO NELLE INDAGINI - Intanto affiorano alcuni retroscena sulla vicenda. Maria Rosa Nicolicchia nel 1987 era stata arrestata insieme al convivente Giuseppe Catalanotto, lo stesso che nel 1990 ne denunciò la scomparsa, per il tentato omicidio del marito, Vincenzo Biundo. Quest’ ultimo all’epoca rimase solo ferito da alcuni colpi di arma da fuoco; quando venne sentito dai carabinieri svelò il nome dell’uomo incaricato di ucciderlo. L’esecutore materiale a sua volta confessò che il mandante era stato il convivente della donna; quest’ultima, sentita dagli investigatori, si lasciò sfuggire d’essere stata anche lei mandante del tentato omicidio del marito assieme al convivente.