Ieri, giorno dell' undicesimo anniversario della strage - si è svolta la prima iniziativa nell'ambito della due giorni antirazzista.
E' stato organizzato un presidio solidale durante il quale alcune decine di manifestanti hanno espresso la loro vicinanza agli immigrati all'interno del Centro di Identificazione ed Espulsione "Vulpitta". Quarantatrè gli immigrati attualmente internati nella struttura. Dalla loro viva voce i partecipanti hanno ricevuto diverse denunce: dalla mancanza di coperte alla scarsa qualità dei cibi, fino all'abituale uso di calmanti e psicofarmaci per sedare le persone rinchiuse all'interno del CIE.
Oggi si replica.
Gli organizzatori del Coordinamento per la Pace, del Circolo “aMalaTesta”-Arci, di Emergency e di altre realtà operanti nel settore della mobilità, oltre a portare solidarietà agli ospiti attuali, hanno voluto manifestare «perché il “Serraino Vulpitta” - si legge in un comunicato - sia chiuso e contro l’apertura della nuova struttura di contrada Milo; per la chiusura di tutti i CIE e l’abolizione della Bossi-Fini e il pacchetto-sicurezza; per l’eliminazione del legame obbligatorio tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno; per il riconoscimento dei diritti fondamentali per tutti, immigrati e no; per la libertà di movimento di tutte e tutti, in Italia e nel mondo; per la solidarietà e la giustizia sociale, contro il razzismo e ogni forma di repressione».
I CPT erano stati istituiti con la legge Turco-Napolitano e oggi, nonostante sia stata modificata la denominazione (Centro di Identificazione ed Espulsione), sono attuali, perché come a Milano, Torino, Bologna, Bari, Crotone, dimostrano sia le difficoltà di gestire un universo “cocente” (sommosse, fughe, autolesioni…), e sia l’incapacità di trovare una soluzione al fenomeno, nonostante una normativa considerata “repressiva”.
A Trapani, in contrada Milo (inizio dell’autostrada TP-PA) è stato ultimato il nuovo Centro di Identificazione ed Espulsione.
Secondo l’avvocato Baldassare Lauria, rappresentante di "Progetto Innocenti", l’organizzazione che si occupa dei detenuti il centro di permanenza temporanea presenta condizioni inumane: “Sono trascorsi undici anni dal giorno in cui sei migranti persero la vita durante un tentativo di fuga, ma poco è cambiato. Il centro continua ad essere un vero e proprio lager, un luogo dove si accolgono persone che spesso non hanno alcuna colpa, se non quella di essere in fuga da paesi dove i diritti umani vengono sistematicamente violati. Le condizioni di vita dei ristretti, che non sono detenuti, sono al limite della sopportabilità umana, condizioni rese ancora più difficili dal prolungamento della detenzione fino a sei mesi di cui al decreto sicurezza. E tutto ciò ha prodotto numerosi atti di autolesionismo, proteste, fughe con cadenza quasi quotidiana, di fronte al silenzio assordante delle autorità governative”.