All’Amministratore Apostolico della Diocesi sono arrivati in questi giorni decine e decine messaggi di cordoglio da autorità e persone comuni che ieri hanno reso in molti modi il loro omaggio al prete ucciso. Sono giunti anche i telegrammi del vescovo emerito Francesco Miccichè, in questi giorni a Roma e del vescovo di Acireale Antonino Raspanti già presbitero del clero di Trapani.
È davvero con un po’ di difficoltà che mi accingo a dire qualche cosa perché credo che di fronte a questi eventi sarebbe più saggio tacere e meditare su come il nostro mondo sta andando.
C’è un grande mistero che si nasconde dietro l’omicidio. Ed è il mistero di tante persone che hanno il cervello inondato di violenza.
Noi stiamo respirando purtroppo un clima di violenza e ne vediamo molti segnali.
Pensate alla violenza sulle donne, pensate alla violenza sui minori.
Pensate a quanti giovani scelgono il bullismo, la degradazione morale. Respiriamo tutti questo clima di violenza che poi, ecco, produce questi fatti.
Certo potremmo mettere a confronto proprio nel modo più stridente possibile queste due persone: da una parte Don Michele, dall’altra chi si è armato di bastone e gli ha dato giù finché l’ha visto morto. Da una parte c’è la bontà, l’accoglienza.
È un prete che ha sempre voluto fare il prete nel servizio umile e generoso, prima per tanti anni nella comunità di Fulgatore, poi, in questi ultimi tre anni, a Ummari.
Un vero prete!
Io lo incontrai una prima volta, quando feci il giro di visita a tutti i sacerdoti di questa Diocesi. E mi raccontò tutta la sua vita, tutte le sue prove, le sue gioie, i suoi dolori, le sue delusioni. Fu un dialogo aperto che durò più di un’ora. E si stabilì così un clima direi di amicizia, di simpatia. Ora tutto è finito. Si rompe in maniera drammatica questo rapporto, ma non soltanto con me, con tutti noi.
Non c’è più. Certo è in Cielo, ci proteggerà. Ma non lo vediamo più. Non potremo più ascoltare la sua voce. Non potremo più vedere i gesti del suo ministero.
E tutto questo perché?
Ecco perché bisognerebbe star zitti e meditare su questo “perché”.
Perché?
Non c’è risposta purtroppo. Noi ci auguriamo che le autorità facciano luce su questo delitto, per quanto è possibile. Ma rimane questa ferita insanabile.
Allora, io credo che non c’è altra strada che questa: noi dobbiamo combattere la violenza in tutte le sue articolazioni, in tutte le sue conseguenze.
Perché c’è una microvilenza e c’è una macroviolenza.
I nostri rapporti spesso sono conflittuali. E così aumenta il sospetto, aumenta la competitività e in questo spazio culturale prende corpo il delitto, come se fosse non dico una bravata, ma un diritto acquisito di fare giustizia da soli, una presunta giustizia. È la più grande ingiustizia che si possa che si possa commettere, quella di togliere la vita a un fratello. Perché?
La vita non vale più nulla!
Ricordiamolo al Signore. Ma credo che noi tutti dobbiamo prendere una lezione da Don Michele. E la lezione è quella della coerenza, del coraggio, della disponibilità agli altri.
Credo che tutti noi dobbiamo fare un esame di coscienza, per vedere se davvero i nostri rapporti con gli altri sono lubrificati, sono costruttivi. Preghiamo per Don Michele perché dal Cielo davvero ci indichi una strada.
Dobbiamo svegliarci di fronte a questi episodi. Dobbiamo condannarli con tutte le nostre forze. Non vogliamo vendette. Non vogliamo giustizia a buon mercato. Vogliamo che la verità trionfi. Ma anche se la verità trionfasse un giorno perché si individuasse l’assassino, resterebbe il “perché”.
Allora, impariamo ad essere operatori di pace, operatori di giustizia. Rispettiamoci di più. Lavoriamo più insieme per costruire una società alternativa, che non sia quella del conflitto, della contrapposizione, ma sia quella della libertà vera.
Questo voleva Don Michele e noi vogliamo accogliere come suo testamento spirituale proprio questo: lavorare per diffondere il bene, perché nonostante tutto trionferà, se ci crediamo.