Su questa materia in Sicilia vige il totale caos. Dal 1º gennaio del 1998 tutti gli specialisti accreditati hanno erogato prestazioni con delle tariffe previste dal “Nomenclatore” fissato da un decreto assessoriale del 1997, adottato per “dribblare” l’applicazione dei prezzi stabiliti da una norma nazionale – il cosiddetto decreto Bindi del 22 luglio 1996 – che comportava una decurtazione del 40-45% rispetto ai rimborsi allora in vigore, che tra l’altro risalivano al 1991. Una spirtizza, per dirla con Camilleri, che si è trasformata in un clamoroso boomerang per la sanità siciliana.
Nonostante il Consiglio di Stato avesse più volte annullato, «per incongruità», sia i contributi previsti dal decreto Bindi sia quelli confermati da un decreto-bis del 2006, il Consiglio di giustizia amministrativa in Sicilia nel 2007 ribalta questa giurisprudenza: rigettato, per vizi di forma, il ricorso contro il decreto Lagalla (che applica il tariffario nazionale nell’Isola), costringe la Regione a correre ai ripari. E così questa cavalcata normativo-giudiziaria, lunga e francamente pure noiosa, ci porta ai nostri giorni.
L’assessorato regionale alla Salute, il 28 gennaio 2013, firma il decreto di “Ripristino con effetto retroattivo dei valori tariffari”. Introducendo, di fatto, il decreto Bindi in Sicilia. Ma chiedendo ai laboratori d’analisi siciliani la restituzione della differenza fra il tariffario regionale e quello nazionale maturata dal 2008 al 2012. Si tratta del 40-45 per cento del budget delle 440 strutture private convenzionate, pari a circa 220 milioni di euro, da restituire in due anni.
«Significa che vogliono indietro metà del nostro lavoro degli ultimi cinque anni, sul quale abbiamo anche pagato le tasse. È una follia, una vera e propria estorsione di Stato», sbotta Felice Merotto, presidente nazionale della Fenasp (Federazione nazionale aziende sanitarie private) e responsabile del “Coordinamento intersindacale della specialistica convenzionata esterna”, che raggruppa numerose sigle di categoria. Tutte sul piede di guerra: «Se entro la fine della prossima settimana la Regione non ci darà risposte concrete su questa situazione assurda – annuncia Merotto – siamo pronti a bloccare tutto». E quando si parla di stop alle prestazioni convenzionate private significa l’80% circa delle prestazioni erogate ai cittadini siciliani. Con un risvolto occupazionale che il coordinamento intersindacale stima in 4-5mila lavoratori a rischio.
«Tra l’altro – ricorda il presidente Fenasp – le tariffe per cui ci chiedono la restituzione erano ferme al 1997, perché in sedici anni hanno goduto, si fa per dire, di una rivalutazione dell’1,7%. Inoltre, dalla Finanziaria del 2006, è obbligatorio applicare uno sconto del 20 per cento, che ha di fatto determinato la chiusura di decine e decine di laboratori di analisi cliniche in Sicilia per il deficit accumulato negli ultimi anni». E dalla padella del redivivo tariffario Bindi si potrebbe passare alla brace del decreto Balduzzi, che – se e quando recepito in Sicilia – renderà ancor più low cost i prezzi. Per capirci: se per un esame sulla glicemia oggi ai laboratori vengono riconosciuti 1,29 euro, in futuro la cifra scenderebbe a 1,17.
Di tutto questo, mercoledì scorso, si è discusso all’Ars in un’audizione davanti alle commissioni Sanità e Bilancio. Davanti alle quali i rappresentanti delle aziende private hanno adombrato uno scenario doppiamente inquietante: «Se noi ci fermiamo, il servizio sanitario nazionale andrà in tilt, perché non è in grado di rispondere alla domanda di prestazioni. E poi, essendo pacificamente acquisito che i costi di produzione delle analisi cliniche nelle strutture pubbliche sono almeno quattro volte maggiori rispetto a quelle convenzionate, il sistema produrrà un sovraccosto del 400% per il sistema sanitario nazionale».
Un dato, quest’ultimo, che ha fatto fare un balzo dalla sedia a Stefano Zito (Movimento 5 Stelle), vicepresidente della commissione Sanità all’Ars. «Uno spreco sconcertante, chiederemo immediatamente all’assessore Lucia Borsellino degli atti ispettivi in ogni Asp». E Zito ha anche una proposta per uscire dal caos-laboratori: «Dopo la condanna della commissione sul caso del 118 c’è una certa paura ad assumersi responsabilità su aumenti di tariffe o compensazioni. E allora prima verifichiamo la legittimità di tali scelte e poi utilizziamo le risorse ottenute dai tagli degli sprechi per dare ossigeno al settore».
Più realista il presidente della commissione Sanità, Pippo Digiacomo (Pd), che ammette «un’oggettiva difficoltà di sopravvivenza dell’intero settore» e anche che «il settore pubblico sarebbe chiaramente impreparato a ricevere l’impatto di milioni di prestazioni non più erogate dai privati», ma sottolinea anche «le pesanti difficoltà di reperimento di risorse aggiuntive per rispondere a una legittima vertenza».