Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
30/10/2013 06:00:00

I politici e il diritto di cronaca. Alcune riflessioni dopo il caso Papania - Alqamah

 Come abbiamo raccontato lunedì, l'ex senatore del Pd, Nino Papania, ha presentato querela nei confronti del sito www.alqamah.it, reo, secondo Papania, di essersi occupato di una vicenda di voto di scambio, estorsioni e danneggiamenti ad Alcamo che lo vedono coinvolto come parte offesa nel procedimento. Inoltre Papania sostiene che, in qualche modo, si debba evitare di parlare di lui perchè, non essendo più senatore, non sarebbe un personaggio pubblico. Abbiamo chiesto un parere a Valerio Vartolo, nostro legale di fiducia, ormai uno dei massimi esperti in circolazione su diritto dell'informazione, querele, e dintorni. 

La querela presentata dall’ex senatore del Partito Democratico, Papania, è l’occasione per fare il punto su una serie di azioni legali che, negli ultimi anni, politici ed imprenditori stanno intraprendendo nei confronti delle (poche, invero) voci libere rimaste, in Sicilia e non solo, a raccontare i fatti, il potere politico, imprenditoriale e le eventuali zone d’ombra esistenti. Il nostro codice penale (all’articolo 51) sancisce il sacrosanto diritto di cronaca e di critica, quale causa che esclude la diffamazione. Invero, se il giornalista riporta, correttamente, il fatto, in una forma non gratuitamente lesiva dell’altrui reputazione, e se questo fatto abbia una rilevanza pubblica non si può rinvenire alcuna portata diffamatoria. Nonostante ciò, spesso, troppo spesso, i giornalisti sono costretti a rispondere in giudizio, sia in sede penale che in sede civile, di quanto hanno scritto: in realtà, tanto la mia esperienza professionale di avvocato difensore quanto le statistiche più recenti, mi confermano nella consapevolezza che il più delle volte si tratta di azioni strumentali, soprattutto se in sede civile, miranti esclusivamente a porre una spada di Damocle sul capo del giornalista di turno. Perché, anche se spesso tutto si conclude con assoluzioni in sede penale e vittorie in sede civile, queste azioni costano fatica (ai giornalisti) e comportano rischi enormi. Al riguardo, però, bisogna dire che, soprattutto alla luce delle più recenti pronunce della Corte Europea di Giustizia, le più recenti sentenze tendono a salvaguardare enormemente il diritto di critica e di cronaca in ossequio alla funzione dirimente che è svolta dai giornalisti: e cioè la funzione di informare e formare la pubblica opinione. I giudici europei, infatti, ritengono che il diritto di cronaca possa, anche, essere preminente rispetto al diritto alla reputazione del soggetto che si ritiene leso. In ogni caso, la vicenda che origina dalla denuncia del senatore Papania merita attenzione, così come meritano attenzione le azioni promosse da coloro che esercitano incarichi pubblici o comunque hanno una rilevanza pubblica. Infatti, numerose pronunce di merito, oltre che di legittimità (Corte di Cassazione) ribadiscono che il diritto alla privacy deve intendersi “come diminuito” laddove, appunto, si esercitano funzioni pubbliche o si è personaggi di rilevanza pubblica: naturalmente vi è una ragione e si situa nel fatto che le azioni compiute da questi soggetti, rispetto a quelle proprie dei comuni cittadini, devono essere poste sotto la lente di ingrandimento al fine di poter essere valutate dalla pubblica opinione. In definitiva, sarebbe opportuno che il legislatore intervenisse sul punto: l’attuale disegno di legge in discussione in Parlamento, ha sì eliminato la pena della reclusione quale pena del reato di diffamazione ma non è intervenuto sulle cause civili, prevedendo, ad esempio, come sul modello anglosassone, una sorta di caparra che il denunciante deve corrispondere in caso di soccombenza. Peraltro, non può sottacersi come, proprio nei paesi anglosassoni, laddove la stampa assurge a vero e proprio contro-potere, assai esigue sono le azioni intraprese contro i giornalisti: questo avviene tanto per il meccanismo della caparra a cui accennavo quanto per il rispetto nei confronti della funzione esercitata dalla stessa stampa. In conclusione, ritengo che esiste un ulteriore motivo per cui chi ha un ruolo pubblico (ancor più se istituzionale) non debba promuovere alcuna azione: perché per il potere che si esercita si può, anche soltanto, dar l’impressione di operare una illegittima forma di pressione nei confronti di chi quel potere non lo esercita ma addirittura lo subisce. E’ la regola, questa, per cui chi assume una carica istituzionale, negli Usa e nel resto d’Europa, ritira, immediatamente, ogni azione nei confronti della stampa.