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16/12/2013 06:40:00

"Savalli voleva ammazzare Maria Anastasi. Lo aveva detto"

 Salvatore Savalli, l'operaio accusato di aver ucciso e bruciato la moglie al nono mese di gravidanza, Maria Anastasi, l'aveva minacciata di morte qualche mese prima dell'omicidio, avvenuto il 4 luglio 2012 nelle campagne di Trapani. Lo ha riferito deponendo in Corte d'Assise un'amica della vittima, Maria Carini, unica teste dell'udienza di oggi del processo in cui Savalli e' imputato assieme all'amante Giovanna Purpura. "Una volta -ha detto in aula la teste- mentre ero a casa di Maria, suo marito le disse 'io t'ammazzo, a costo che mi faccio 30 anni di galera'. Dopo le diede una testata". La donna ha parlato di Maria Anastasi come di una "sorella" e ha riferito di lividi e rigonfiamenti notati su corpo dell'amica in varie occasioni. "Una volta -ha proseguito- la vidi con un piede gonfio e lei mi disse che le era caduto l'asse da stiro sul piede. Un'altra volta aveva un occhio nero e mi spiego' che aveva sbattuto contro uno sportello della cucina. Maria nascondeva, a volte piangeva, ma non raccontava nulla. La figlia Simona invece mi riferiva che Savalli le picchiava e le riempiva di schiaffi". Maria Carini ha dipinto il marito della vittima come un uomo "geloso" che avrebbe impedito alla moglie di continuare a lavorare nella friggitoria di una zia, che le avrebbe sequestrato il cellulare impedendole persino di incontrare un'amica. "A un certo punto -ha concluso la testimone- Maria mi disse che non potevo piu' andare a casa sua perche' suo marito era geloso, cosi' ci vedevamo fuori, di nascosto". La prossima udienza si svolgera' il 9 gennaio 2014 e saranno sentiti un investigatore e le sorelle della vittima e dell'imputata.

BANCAROTTA FRAUDOLENTA.  Verrà probabilmente emessa oggi la sentenza nei confronti dell'ex patron dell'Alcamo Calcio Giuseppe Di Bartolo, accusato di bancarotta fraudolenta. Per lui il Pm Belvisini ha chiesto la condanna a quattro anni per bancarotta fraudolenta. Insieme con l'imprenditore è finito alla sbarra anche il suocero, Francesco Milazzo, presidente della squadra di calcio, per il quale è stata chiesta invece l'assoluzione. Secondo il pubblico ministero, Giuseppe Di Bartolo era il vero amministratore della società. Il suocero avrebbe svolto un ruolo meramente marginale limitandosi a staccare i biglietti al botteghino in occasione delle partite. Tra il 2004 ed i 2007 Giuseppe Di Bartolo avrebbe effettuato continui prelievi di denaro dai conti bancari utilizzando le somme per fini personali. Nel periodo oggetto, ha sottolineato il pubblico ministero Franco Belvisi nel corso della sua requisitoria, l'associazione sportiva avrebbe conseguito cospicui utili, ammontanti ad oltre seicentomila euro, che non sarebbero stati reinvestiti nell'attività aziendale. Gli avvocati Ernesto Leone e Gaetano Vivona, difensori rispettivamente di Di Bartolo e Milazzo, hanno chiesto l'assoluzione dei loro assistiti. Oggi le repliche, poi la camera di consiglio.