Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
19/11/2014 14:25:00

La Dda di Palermo chiude le indagini su Filardo, il cugino di Messina Denaro

  I pm della dda di Palermo Paolo Guido e Carlo Marzella hanno chiuso le indagini a carico del cugino del boss latitante Matteo Messina Denaro, Giovanni Filardo, delle due figlie e della moglie, dell'imprenditore Aldo Licata e del presunto capomafia di Campobello di Mazara Nicolò Polizzi. Filardo, la moglie Francesca Maria Barresi e le figlie Floriana e Valentina sono accusati di intestazione fittizia di beni, Licata e Polizzi di voto di scambio politico-mafioso. Vennero tutti arrestati a dicembre del 2013 nel blitz che portò in carcere boss, gregari e favoreggiatori di Messina Denaro. In manette finì anche la sorella del padrino di Castelvetrano Patrizia. Secondo l'accusa, Filardo avrebbe intestato conti correnti e quote di società a moglie e figlie per scongiurare le misure di prevenzione e agevolare Cosa nostra. Licata e Polizzi, invece, in cambio di somme di denaro, avrebbero ottenuto la promessa che i clan avrebbero sostenuto Doriana Licata, sorella dell'indagato, candidata con l'Mpa di Lombardo alle regionali nel 2012 che però non venne eletta. Sulla vicenda Polizzi è intervenuta nei mesi scorsi anche la Cassazione che ha annullato con rinvio l'ordinanza di scarcerazione dell'imprenditore. Ad avviso del Tribunale del riesame, infatti, Polizzi doveva essere liberato perché non era stato dimostrato il ricorso all'intimidazione. Nel ricorso in Cassazione, la Procura di Palermo ha sostenuto che non è necessario che "nello svolgimento della campagna elettorale vengano posti in essere singoli e individuabili atti di sopraffazione e minaccia, bastando che l'indicazione di voto sia percepita all'esterno come proveniente dalla consorteria mafiosa, e dunque come indicazione sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo mafioso". Dello stesso parere sono stati i supremi giudici che sottolinearono come "la consumazione del reato precede l'effettiva acquisizione dei suffragi, essendo centrata sulla mera conclusione dell'accordo concernete lo cambio tra voto e denaro".