Mentre il nostro Sport Club Marsala 1912 ormai centenario si appresta a salutare e festeggiare, con il conforto della matematica, il tanto sospirato ritorno in Serie D – che dovrebbe rappresentare solo il primo gradino di una risalita per troppi anni procrastinata – il calcio italiano vive uno dei più sofferti metà settimana internazionali.
Accolta con eccessivo trionfalismo la qualificazione di cinque squadre italiane per gli ottavi di finale di Europa League, le gare di andata svoltesi giovedì sera hanno rappresentato un brusco risveglio per la maggior parte delle nostre formazioni.
A parte il Napoli, netto vincitore di una Dinamo Mosca non certo irresistibile e che non dovrebbe temere oltremisura la gara di ritorno nella capitale russa (malgrado il golletto in trasferta segnato dal tedesco Kurany inviti ad affrontare i secondi novanta minuti della qualificazione con la concentrazione giusta), per le altre squadre nostrane il risveglio è stato tutt’altro che piacevole.
C’è da dire che il sorteggio non era stato benevolo con Inter e Torino. Alla squadra di Mancini – che pur ha pagato oltre misura la programmata alternanza fra i portieri Handanovic e Carrizo – era toccata in sorte la più forte squadra tedesca della categoria <umane> (il Bayern di Guardiola è di un altro mondo, col suo gioco stellare e le sue goleade), come testimoniano i nove punti di vantaggio sulla terza in classifica che dichiara la Bundesliga. Il gol di Palacio, in odor di resurrezione, aveva illuso i tifosi interisti, ma poi il Wolfsburg si è scatenato ed il suo bomber belga col cognome da ciclista, De Bruyne, ha castigato Carrizo oltre i propri errori e demeriti.
Il Torino, incappato nella leader del campionato russo (l’ex squadra di Spalletti, oggi affidata al portoghese Vilas Boas, ha nelle sue file campioni autentici come Hulk, il belga Witsel, il nostro Criscito (troppo presto giubilato da Ranieri e dalla Juventus per aver abboccato ad una finta di un certo …Totti, anni addietro!) al punto da permettersi di relegare in panchina un campione, pur anzianotto, come Timoshuk. Ad una squadra come lo Zenit San Pietroburgo non si possono fare regali. Il Torino gliene ha fatto due, prima rimanendo troppo presto in dieci per una leggerezza di Baselli, incappato troppo ingenuamente nella seconda ammonizione, e poi non cercando con sufficiente determinazione quel gol in trasferta che avrebbe addolcito la sconfitta (anche qui maturata per un gol di un belga, Witsel, raddoppiato da quello di Criscito) e reso meno proibitivo il ritorno della prossima settimana a Torino.
Le altre due se la son viste fra di loro. Tra Fiorentina e Roma è finita in parità (1-1) con la grossa occasione di un rigore sprecato dalla Roma. All’Olimpico, fra sette giorni, la squadra di Garcia dovrebbe essere in grado di giovarsi del fattore campo per andare avanti nel torneo, anche se la Fiorentina va sempre presa con le molle per le qualità tecnico-tattiche che possiede.
Nella speranza che almeno una fra Inter e Torino riesca ad accompagnare il Napoli di Benitez e la vincente del derby tosco-laziale, guardiamo con sempre maggiore tristezza alla decadenza del Parma, che assiste inerme alle umilianti aste dei suoi mobili e delle suppellettili dello spogliatoio. Ieri ci si sono messi il medico sociale e tre tifosi trevigiani ad evitare un ulteriore scempio. In attesa che le autorità del calcio – e non solo – trovino la strada per una soluzione dignitosa, nel rispetto delle leggi ma anche del decoro.
Perché resta sempre un mistero come abbia fatto un chiacchierato petroliere cipro-albanese a convincere Ghirardi a cedergli il Parma (sicuramente l’ex presidente avrà preso dei soldi, non credo – né risulta - che abbia mollato tutto gratis a condizione che ci si accollasse i tanti debiti) e poi abbia venduto per un solo euro il tutto a questo indefinibile personaggio che risponde (non sempre) al nome di Manenti, le cui attività non si riesce a comprendere chiaramente.
L’ennesimo pasticcio all’italiana? Sembra proprio di sì, stavolta.
Salvatore Lo Presti