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01/06/2015 06:40:00

Mafia, com'è finita in appello con il processo Eden. Gli "omissis" di Cimarosa

 Ne hanno parlato tutti, ma a seguire le ultime battute del processo Eden non c'era nessuno. Si tratta del procedimento palermitano nato dall'operazione Eden del dicembre 2013 in cui venne colpito una parte del «cerchio magico» appartenente alla rete di protezione del latitante Matteo Messina Denaro. Imputato d’eccellenza Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del boss ed aspirante collaboratore di giustizia balzato agli ordini della cronaca in seguito alle denunce pubbliche del figlio Giuseppe. La Corte d'Appello di Palermo il 27 maggio  ha confermato l'esito pronunciato dai giudici di primo grado.

Premendo rewind, nel procedimento oltre a Cimarosa erano imputate altre cinque persone: Mario Messina Denaro, cugino del boss imputato per la presunta estorsione ad Elena Ferraro; Nicolò Pulizzi, presunto capomafia di Campobello di Mazara; Giuseppe Marino, funzionario tecnico accusato di corruzione; ed i coniugi Francesco Luppino e Lea Cataldo, accusati di aver continuato a manovrare in maniera occulta alcuni rami aziendali dell'oleificio «Fontane d'Oro» di Campobello di Mazara. Tutti loro erano stati condannati con il rito abbreviato in primo grado. Una sentenza «documentale» duramente attaccata dai collegi difensivi degli imputati durante le arringhe finali. Ad esempio quella dell'avvocato Giovanni Di Stefano (difesa di Mario Messina Denaro). «Il 7 aprile 2012 un investigatore scrive in una relazione di servizio di aver visto Mario Messina Denaro uscire dalla sua clinica privata. Soltanto 40 giorni dopo la Ferraro chiama il suo socio/collaboratore Tagliavia per raccontargli intimorita l'episodio. Perchè aspettare 40 giorni? Dagli atti documentali a nostra disposizione sembra quasi una recita con una sceneggiatura già scritta».

Ampio spazio ovviamente è stato dedicato alla figura di Lorenzo Cimarosa. «Il suo ruolo all'interno dell'organizzazione - secondo i carteggi che ne hanno disposto l'arresto – era di primo piano», ma all'indomani delle manette Cimarosa aveva deciso di rendere alcune dichiarazioni e in una delle ultime udienze del processo d'appello si è presentato con un fogliettino scritto di suo pugno e lo ha letto in aula. «I magistrati volevano darmi la protezione perchè, mi hanno spiegato, che i rischi sono alti. Io non ho mai detto di non essere un pentito. Io sono un pentito, ma non sono un pentito di mafia, perchè io non appartengo alla mafia. Mafioso non lo sono mai stato. Io ho commesso un grande errore nel 1998 quando, chiamato a rispondere, ho coperto i reali autori di un attentato incendiario assumendomene le colpe. Con quel gesto ho lasciato intendere a questi personaggi che, essendo disposto a coprirli in un occasione, avrei potuto farlo per sempre. Io non ho deciso di collaborare per avere dei favori, voglio pagare i miei errori, e li pagherò». All'emissione della sentenza hanno presenziato gli imputati ed alcuni familiari che hanno accolto con pochi clamori l'esito finale. Presenti anche i familiari di Lorenzo Cimarosa. Il processo rappresentava una sorta di banco di prova per la sua collaborazione. Negli ultimi mesi «l'aspirante collaborante» ha risposto a diverse Procure (Trapani, Marsala, Palermo, Sciacca ed altre) ma i verbali sono densi di «omissis». Tutti acquisiti assieme alle trascrizioni della testimonianza resa nell'ambito del processo d'appello Golem che vede imputato Giovanni Filardo, altro cugino del boss.

Delucidazioni sulla sua posizione, tuttavia, sono giunte poco prima della sentenza dal procuratore generale. «Cimarosa è stato sinceramente compreso in questo suo autentico ed intimo pentimento. Questo noi lo apprezziamo. Ma debbo dire che la collaborazione offerta dal Cimarosa è - come definito dal primo grado - un'apertura. Un incipit, ma allo stato attuale Cimarosa è una persona che è stata arrestata assieme al cognato Filardo e in questa situazione ha risposto ad alcune domande. È stato – ha continuato - un coadiutore della latitanza di Matteo Messina Denaro, attraverso la sua azienda degli utili andavano al latitante, ma per il resto ci si attenderebbe qualcosa di piu visti i suoi rapporti imprenditoriali, ma interrogato su questo Cimarosa non ha voluto rispondere. Questo per il nostro diritto scritto non è collaborare. È confessare. Noi ci auguriamo che il suo cammino prosegua, ma allo stato secondo il mio giudizio non è meritevole dello status di collaboratore». Parole che hanno fatto da prologo alla sentenza del giudici della prima sezione che hanno nuovamente negato l'attenuante speciale per i collaboratori. In attesa di ulteriori chiarimenti sugli omissis di Cimarosa.

Marco Bova