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25/06/2015 06:15:00

Marsala, cinquanta anni fa la tragedia di Ventrischi: nove morti intossicati in un pozzo

 Una tragedia sconosciuta ai più. Sono pochi, infatti, i marsalesi che ricordano quanto accadde, il 25 giugno 1965, nella lontana contrada Ventrischi. Quel pomeriggio, dentro un pozzo profondo circa 25 metri, trovarono la morte nove persone. Tutte per le esalazioni di ossido di carbonio del motore a scoppio utilizzato per tirare su l’acqua necessaria a irrigare i campi. Il primo a respirare quelle esalazioni tossiche e a morire fu l’uomo che aveva azionato il motore, Erasmo Bua, il proprietario del pozzo. Tutti gli altri si calarono, uno dopo l’altro, nel disperato tentativo di salvare la vita chi era già sceso. Erano parenti e vicini di casa. Questi i nomi delle altre otto vittime: Filippo Angileri, Michele e Antonina Curatolo, Michele e Maria Licari, Francesco e Antonio Giacalone, Giuseppe Sparla. E rischiarono di morire, intossicate, altre tre persone, tra cui due donne. Agli otto soccorritori morti il ministero dell’Interno concesse medaglie d’argento e di bronzo alla memoria al valor civile. Particolarmente eroico l’intervento dell’appena 20enne Filippo Angileri, che avendo compreso il motivo per il quale chi era già sceso aveva perso i sensi, si tolse la camicia, la inzuppò d’acqua e la pose con una mano davanti al naso e alla bocca. Scese anche lui, riuscì a riportare, in spalla, quasi in superficie, uno di quei sventurati che ancora respirava, ma quando era arrivato quasi al “collo” del pozzo, sfinito, è precipitato di nuovo giù con il suo fardello umano, tra le grida di disperazione di chi si accalcava attorno a quel pozzo maledetto. E altri sarebbero potuti morire, anche loro intossicati, se un contadino della zona, Salvatore Sciacca, appena arrivato sul posto al termine della sua giornata di lavoro, ricordando bene quanto era accaduto dieci anni prima nella vicina contrada Pastorella (due morti dentro un pozzo per le esalazioni di ossido di carbonio), non avesse capito che ormai non c’era più nulla da fare per chi era giù e chiunque altro sarebbe sceso avrebbe fatto la stessa fine. Per questo motivo, impedì ad altri coraggiosi volontari di scendere in fondo al pozzo. E per fermarli dovette imbracciare un forcone. “Basta! – disse - Non scende più nessuno!”. All’epoca la vicenda ebbe, naturalmente, vasta eco nazionale. L’allora deputato del Pci Pino Pellegrino fece un’interrogazione di fuoco al ministro dell’Interno, chiedendo aiuti per le famiglie delle vittime e interventi (strade, elettrificazione, linee telefoniche, etc.) per un territorio ancora molto povero sotto il profilo delle infrastrutture e non solo. Molto duro il giudizio del parlamentare marsalese sulle colpe del governo, accusato di disparità di trattamento tra nord e sud (una vecchia storia sempre attuale). La Prefettura, poi, distribuì un milione di lire alle famiglie delle vittime. Non fu, quindi, un gran risarcimento. I funerali, in Chiesa Madre, furono a spese del Comune. Ora, quella vicenda è raccontata in un libro, “Il pozzo assassino di Villapetrosa”, scritto da Filippo Piccione (l’autore de “Il bracciante di Berbero di Marsala” e altri testi), che verrà presentato questa sera, proprio nel 50° anniversario della tragedia, nello spiazzo davanti Villa Petrosa, a poche decine di metri dal pozzo maledetto. L’autore del libro, immaginando che il giovane Filippo Angileri sia sopravvissuto, “instaura – come si legge nella controcopertina del volume - un toccante dialogo, analizzando i fatidici momenti di quella giornata e, in un vertiginoso andirivieni temporale, scandaglia la storia d’Italia fino ai giorni nostri”. Ne viene fuori così un “lucido ritratto di mezzo secolo di storia in cui le dinamiche politiche, gli intrecci fra criminalità organizzata e le stanze del potere, i pochi slanci culturali e le troppe sciagure si rincorrono senza soluzione di continuità”. E’ un “viaggio tra i ricordi, la memoria e la nostalgia, quel ponte fra un passato perduto e un futuro ignoto, nel quale si spera che qualcosa potrà accadere, pur sapendo che difficilmente avverrà”. Quella stessa nostalgia che l’autore prova per la nipote Anna Maria Licari, prematuramente scomparsa, alla quale ha affidato l’immagine di copertina. “Uno struggente ringraziamento – si conclude nella controcopertina – a chi, attraverso la pittura, è riuscito a trasporre in immagini l’universo della parola scritta”.