Il pg di Palermo Luigi Patronaggio ha chiesto la condanna a 10 anni del boss latitante Matteo Messina Denaro. Il padrino di Castelvetrano è accusato di associazione mafiosa. Il processo si celebra in appello. In primo grado Messina Denaro aveva avuto 10 anni per la partecipazione a Cosa nostra dal 2008 al 2009, per il periodo precedente c'era a suo carico una condanna passata in giudicato a 20 anni.
L'accusa ha poi chiesto la conferma delle pene inflitte in primo grado a Nicolò Nicolosi e Marco Manzo, che avevano avuto rispettivamente 2 anni e 3 mesi e 4 anni. Patronaggio ha poi chiesto la condanna a 25 anni di Giovanni Risalvato, 16 di Vincenzo Panicola, cognato di Messina Denaro, 20 di Lorenzo Catalanotto e 15 di Maurizio Arimondi. Per Leonardo Ippolito sono stati sollecitati 18 anni, per Giovanni Filardo 21, per Tonino 21 e per Calogero Cangemi 6. Gli imputati rispondevano, a vario titolo, di mafia, intestazione fittizia di beni e danneggiamento. Il processo nasce dall'inchiesta denominata "Golem 2" che ha fatto luce sulla rete dei colonnelli e dei gregari del boss latitante.
Per la prima volta, nel precedente grado di giudizio, era stato riconosciuto a Messina Denaro il ruolo di capo dei clan di Trapani e Palermo. Il tribunale gli aveva dato 10 anni per la partecipazione all'associazione mafiosa dal 2008 al 2009, in quanto per il periodo precedente c'era a carico del boss una condanna passata in giudicato a 20 anni.
Il pg ha inoltre chiesto la condanna a 18 anni di reclusione per Leonardo Ippolito (assolto in primo grado insieme a Giovanni Filardo, Filippo Sammaritano e Giovanni Stallone, nonostante le condanne richieste dall'accusa). Secondo i pm del processo in primo grado era proprio nell'officina di Ippolito che sarebbero stati convocati i summit di mafia. Condanna richiesta dal pg anche per Filardo e Tonino Catania (21 anni di reclusione), 6 anni per Calogero Cangemi.
Nel corso delle complesse attività di indagine e processuali è stato consentito di individuare ruoli, strategie e modalità operative di Cosa nostra trapanese, che assumeva condotte illecite volte a realizzare i propri interessi e diretta dallo stesso Messina Denaro. Alla sbarra esponenti strategici delle famiglie mafiose di Campobello di Mazara e di Castelvetrano, che hanno ricoperto un ruolo fondamentale nel sostegno alla latitanza di Messina Denaro, curando i canali riservati di comunicazione con i vertici di Cosa nostra palermitana, ma anche riuscendo a garantire documenti d’identità falsi e realizzando una rete per le numerose azioni estorsive. Tra le vicende portate alla luce, anche alcuni incendi ordinati dal boss, come quelli che hanno colpito il consigliere comunale Pasquale Calamia, colpevole di avere auspicato in consiglio comunale a Castelvetrano la cattura di Messina Denaro, o l’imprenditore Nicolò Clemenza che si era fatto promotore della creazione di un consorzio di produttori oleari che avrebbe dato fastidio al super latitante.
IL COMMENTO DELL'ASSOCIAZIONE GEORGOFILI. Se da una parte non possiamo che essere contenti per la richiesta di ulteriori 10 di anni di condanna, in appello, a Matteo Messina Denaro per Associazione mafiosa.
Dall’altra siamo a dir poco scandalizzati.
Infatti Matteo Messina Denaro è già condannato con sentenza passata in giudicato per strage terroristica eversiva, quella del 27 Maggio 1993 nel centro storico di Firenze.
Quindi questa ulteriore richiesta di condanna gli sarebbe dovuta essere notificata in carcere, non mentre stà, probabilmente, spaparanzato al sole di qualche tropico, a seguire in diretta gli arresti di presunti terroristi islamici che potrebbero fare attentati.
Del resto lui Matteo Messina Denaro gli attentati li ha già fatti, ha picchiato nei posti giusti al momento giusto, perché arrestarlo?
Giovanna Maggiani Chelli
Presidente
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili