Un nuovo durissimo colpo è stato assestato alla mafia e al boss castelvetranese Matteo Messina Denaro con l’ultimo provvedimento della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, presieduta da Pietro Grillo, che ha portato al sequestro di beni per un valore di dieci milioni di euro agli imprenditori di Castelvetrano Antonino e Raffaella Spallino. Un patrimonio costruito nel settore dello smaltimento dei rifiuti ma non solo, con 12 imprese sequestrate operanti anche nei settori della produzione di energia elettrica, ristorazione, delle attività agricole nonchè dell'edilizia e gestione di immobili. Sono stati sequestrati 34 immobili tra appartamenti, uffici, autorimesse, magazzini e terreni; 28 rapporti bancari e 5 autocarri. Un vera terra bruciata attorno ai fiancheggiatori e prestanomi di Messina Denaro, che conferma come la provincia di Trapani sia la vera cassaforte di cosa nostra e del boss castelvetranese che, con il suo sostegno ha fatto crescere e diventare dei semplici artigiani o commercianti in dei veri tycoon siciliani.
Il sequestro nei confronti degli Spallino arriva dopo una lunga serie di altri provvedimenti che dall'inizio dell'anno si inseriscono nel quadro di tutte quelle operazioni volte alla cattura di Matteo Messina Denaro. Il 14 gennaio 2015 (operazione “Mandamento Bis”), sono stati sequestrati beni per un valore complessivo di 16,5 milioni di euro, all’imprenditore trapanese Salvatore Angelo e al mafioso Antonino Nastasi. Il sequestro ha riguardato una complessa rete di società attive nel settore delle energie rinnovabili e nella costruzione di parchi eolici; il 3 dicembre 2015 (Operazione “Hermes”) altro sequestro per un valore complessivo di 13 milioni di euro emesso dal g.i.p. del Tribunale di Palermo nei confronti di Vito Gondola, Giovanni Domenico Scimonelli, Pietro Giambalvo e Michele Gucciardi. Sotto sequestro questa volta numerose società attive nella distribuzione alimentare e nel settore dell’ovinicoltura, in quello agricolo ed olivicolo.
Dal 2011 ad oggi ai sodali di Messina Denaro sono stati sottratti in totale, beni per un valore di cinque miliardi di euro. Una buona fetta di questo enorme patrimonio è stata sequestrata al “re del vento” Vito Nicastri, 58 anni alcamese a cui il mese scorso la Corte di Appello di Palermo ha confermato il sequestro dei beni valutati in un miliardo e 300 milioni di euro. Quello dell’elettricista alcamese, trasformatosi in pochi anni nel re degli impianti eolici, è il sequestro più ingente di tutti i tempi in Italia. Dopo 5 anni di indagini condotte dalla Direzione investigativa antimafia, l’impero di Nicastri crolla, secondo l’accusa c’è Matteo Messina Denaro, che tra i suoi interessi avrebbe avuto anche quello delle energie alternative. Con un altro sequestro, quello ai danni del "re dei supermarcati" Giuseppe Grigoli, si arriva a 2 miliardi di euro. Ammonta, infatti, a circa 700 milioni di euro il patrimonio di Grigoli, condannato in appello a 12 anni di carcere. Per il prestanome di Messina Denaro, il provvedimento di confisca, emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani riguarda 12 società, 220 fabbricati (palazzine e ville) e 133 appezzamenti di terreno. Come possiamo constatare i settori d’investimento della “holding” Messina Denaro sono molto eterogenei; si va dalla grande distribuzione all'energia pulita ai rifiuti, anche se tra i primi comparti vi è quello dell’edilizia.
In questo settore ha subito uno dei primi grandi sequestri; quello del patrimonio di Rosario Cascio - “re indiscusso del cemento” - e del fratello Vito. Originari di Santa Margerita Belice, i Cascio da decenni hanno le basi delle loro attività nel trapanese. Rosario, indicato come uno dei prestanome del boss di Castelvetrano, era stato arrestato col fratello nel luglio 2008 per mafia, nell’operazione ”scacco matto”; in primo grado nel febbaio 2011 e’ stato assolto mentre Vito e’ stato condannato a 12 anni e sei mesi. Rosario era pero’ gia’ stato condannato a sei anni per mafia.
Tra i beni confiscati vi sono il compendio aziendale e il capitale sociale della “Calcestruzzi Belice srl”, “Siciliana conglomerati srl”, “Calcestruzzi srl”, “Atlas cementi srl”, “La Inerti srl”, “Vini cascio srl” e altri beni, che formano un tesoro di circa 550 milioni di euro. Ma se questi patrimoni sequestrati ai prestanomi di Messina Denaro sono fra i più grandi finora in Italia, quello di Carmelo Patti, “il re delle vacanze”, patron della Valtur, che è oggetto di un procedimento sempre davanti alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, supera di gran lunga tutti i precedenti messi assieme. Per il cavaliere Patti, originario di Castelvetrano, la procura antimafia di Palermo ha, infatti, chiesto il sequestro del suo patrimonio stimato in 5 miliardi di euro. Secondo gli inquirenti Patti sarebbe stato sin dall’inizio della sua carriera in affari con cosa nostra e avrebbe permesso alla criminalità organizzata di diversificare gli investimenti nei servizi, nei villaggi vacanze e nei cablaggi auto. Sui suoi rapporti con i boss trapanesi, su tutti con Francesco Messina Denaro, hanno parlato alcuni collaboratori di giustizia. Fra le persone conosciute ci sarebbe anche il commercialista Michele Alagna, cognato di Matteo Messina Denaro. Secondo i pentiti Don Ciccio Messina Denaro parlava spesso del Cavaliere: “Ci farà guadagnare un sacco di piccioli”, avrebbe detto il boss di Castelvetrano defunto. Gli altri sequestri che hanno seguito le diverse operazioni antimafia di questi ultimi anni o quelli di tanti altri prestanomi in giro per la provincia di Trapani costituiscono la grande rete economico-affaristico-criminale messa su dal latitante numero uno in Italia.