Si sono svolti ieri i funerali di Carmelo Patti, L'imprenditore di Castelvetrano è morto ad 81 anni nella sua villa di Robbio Lomellina in provincia di Pavia dove ormai abitava ed aveva fatto la sua base operativa da decenni. Pubblichiamo qui la seconda parte del capitolo di Cosa Grigia (Il Saggiatore, 2012) di Giacomo Di Girolamo in cui si parla di Patti e delle indagini su di lui:
(...) Adesso sul suo patrimonio indaga la Direzione antimafia. C’è anche un processo in corso a Trapani per la confisca dei suoi beni. Mafioso non è, Carmelo Patti. Si arrabbia pure se qualcuno lo accosta a Cosa Nostra, se gli fanno notare che lui e il boss Matteo Messina Denaro hanno tante conoscenze in comune. Gli investigatori si chiedono cosa c’è all’origine della fortuna di Patti, partito giovane con la moglie a cercare fortuna a Nord, a Pavia, ridotto poi negli anni sessanta a fare il venditore ambulante di tessuti. Viene dichiarato fallito, e ai giudici scrive una lettera per protestare: «Né io né mio papà possiamo comprare il necessario per campare […] quei quattro pezzi di mobilio che avevamo sono stati pignorati». Poi trova lavoro, sempre a Pavia, in una fabbrica di frigoriferi. Così i suoi agiografi ricostruiscono gli anni chiave della sua vita: «Vuole misurarsi col mestiere di imprenditore, provare il brivido del rischio e l’ebbrezza del successo. Ha imparato come si fabbrica un cavo, ha capito che il cablaggio è un business con ottime prospettive e ha deciso che quella può essere una buona partenza. E si getta a capofitto nell’impresa: un capannone artigianale, meno di dieci dipendenti, rame e plastica, qualche piccola commessa e tanta voglia di vincere. Ma è quanto basta per cominciare. Il resto arriva col tempo».
Improvvisamente, negli anni settanta, Patti comincia ad acquistare immobili e terreni, costruisce una ditta per la lavorazione dei cavi in rame. Finita questa avventura, a metà degli anni novanta dà inizio alla scalata nel settore alberghiero che si concretizza prima con l’acquisto di un villaggio turistico a Favignana, battendo – in una vicenda che presenta, secondo gli investigatori «molte criticità» – il gruppo dell’ex presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Poi il gioco si fa grande e Patti si prende la Valtur, una delle più grosse società di ricettività turistica a livello internazionale, una delle prime a proporre la formula del «villaggio vacanze». Negli stessi anni in cui lo Stato dà la caccia ai superlatitanti, i giornali esaltano Patti «protagonista di questa avventura imprenditoriale da Italia del boom anni sessanta». Dopo un po’, di Patti cominciano a parlare anche molti pentiti, Angelo Siino, il braccio destro di Provenzano, Nino Giuffrè («Patti è un nome che a livello nazionale ha la sua importanza»). La Valtur di Carmelo Patti è partecipata al 30 per cento da Sviluppo Italia Sicilia, cioè la società cabina di regia degli investimenti nell’isola di denaro pubblico, che viene impiegato anche per la costruzione di un’altra società, la Mediterraneo Village. Un mare di soldi destinato a finire male. A ottobre del 2011 la Valtur ha chiesto di entrare in amministrazione straordinaria. Ha debiti per trecento milioni di euro di cui ottantacinque milioni verso i fornitori, sessantadue milioni verso le banche e novantasei milioni verso l’erario e istituti di previdenza. Qualche mese dopo parte la richiesta di sequestro dei beni di Patti da parte dello Stato: cinque miliardi di euro. Ci potresti quasi salvare la Grecia, con quei soldi. E paradossalmente può succedere che lo Stato diventi proprietario di una struttura che lo Stato ha finanziato e che per ora sempre lo Stato sta cercando di salvare dal fallimento. In pratica, saremo noi a pagare i debiti della Valtur. Roba mai vista. Giacomo Di Girolamo