Come abbiamo raccontato ieri, il gup di Palermo Walter Turturici ha condannato complessivamente a 80 anni di carcere 6 esponenti del clan del boss latitante Matteo Messina Denaro. Per 5 di loro l'accusa era di associazione mafiosa, uno rispondeva di favoreggiamento. A 17 anni sono stati condannati Domenico Scimonelli, ritenuto tra gli uomini più vicini al capomafia trapanese, colletto bianco che avrebbe reinvestito anche in Svizzera i soldi del boss, Pietro Giambalvo e Michele Gucciardi.
Rispettivamente 12 e 13 anni hanno avuto Michele Terranova e Vincenzo Giamabalvo, 4 Giovanni Loretta, accusato di favoreggiamento. Il processo si è svolto in abbreviato. L'accusa in giudizio era sostenuta dal pm Paolo Guido.
Domenico Scimonelli, di Partanna, titolare di un supermercato, è coinvolto anche nell'omicidio di un pregiudicato, Salvatore Lombardo, "punito" per una rapina. La ricostruzione dell'omicidio la potete leggere cliccando qui. La sua figura è davvero interessante. Scimonelli non era un vecchio padrino, un boss pastore della mafia arcaica che alternava i summit con la cura del proprio allevamento. Scimonelli, al contrario, era il prototipo del colletto bianco: viaggiava di continuo tra Roma, Milano e la Svizzera, gestiva gli affari dei suoi supermercati e della sua azienda vinicola, la Occhio di Sole, premiata anche al Vinitaly, incontrava persino funzionari del ministero dello sviluppo economico, per tentare di ottenere un finanziamento pubblico. Poi all’improvviso ricompariva in Sicilia, in qualche desolato appezzamento di terreno nella provincia di Trapani, dove incontrava gli anziani boss con i quali scambiava i pizzini con gli ordini di Messina Denaro.
Il processo con rito ordinario, invece, a seguito dell'operazione Hermes si tiene a Marsala. Riguarda quattro persone, anche loro ccusate di far parte della rete dei "postini" al servizio del boss latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. I quattro imputati sono Sergio Giglio, 46 anni, allevatore di Salemi; Ugo Di Leonardo, di 74, ex geometra del Comune di Santa Ninfa, incensurato; Giovanni Mattarella, 50 anni, commerciante, genero di Vito Gondola, ritenuto il "reggente" della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo; Leonardo Agueci, di 28, ragioniere incensurato, di Gibellina. Dei quattro, solo Giglio è ancora in carcere e Di Leonardo ai domiciliari.
Anche Pietro Giambalvo, 77 anni, originario di Santa Ninfa, è una figura interessante. E' fiancheggiatore di Matteo Messina Denaro, ma titolare di pensione Inps e soprattutto destinatario di un cospicuo risarcimento da ingiusta detenzione: 283 mila euro che gli furono liquidati per cinque anni di carcere conclusi da un'assoluzione. Il tribunale gli ha appena restituito i beni che gli erano stati sequestrati al momento dell'arresto di sei mesi fa. Come abbiamo raccontato, i giudici hanno ritenuto che l'influenza di Cosa nostra nelle fortune economiche dell'indagato, con la sproporzione tra i redditi leciti e il valore del patrimonio, non e' dimostrabile, dato che fra gli introiti assolutamente legittimi di Giambalvo ci sono anche quei 283 mila euro che gli furono liquidati nel 2009 dalla Corte d'appello del capoluogo siciliano. Qui il nostro articolo.
Anche per Michele Gucciardi, 63 anni, il Tribunale ha disposto il dissequestro dei beni. Gucciardi sarebbe il reggente della cosca mafiosa di Salemi, nel Trapanese, nonché «filtro» nel sistema messo su da Messina Denaro per comunicare con l'esterno. I suoi beni erano stati sequestrati a inizio dicembre insieme a quelli di Vito Gondola, Giovanni Domenico Scimonelli e Pietro Gambalvo. Per un totale di 13 milioni di euro, tra conti correnti, fabbricati e terreni.
ARTALE. Annullato dal Tribunale del riesame il sequestro dei beni - valutati 5 milioni di euro - a carico dell'imprenditore alcamese Vincenzo Artale, indagato nell'ambito dell'inchiesta "Cemento del Golfo". Il sequestro preventivo era stato disposto l' 8 aprile scorso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Tra i beni sequestrati c'erano due abitazioni, due terreni, rapporti finanziari, quattro veicoli, la ditta edile con sede ad Alcamo e altre 3 società. Tra queste la "Occidentalcem S.r.l."e la "IN.CA. S.a.s. di Artale Vincenzo & C." entrambe produttrici di calcestruzzo. La "IN.CA", però, non è mai entrata in funzione. Artale, fino a due mesi fa componente dell'associazione antiracket e antiusura di Alcamo, con le sue denunce in passato aveva contribuito a far sgominare una banda di estorsori. Da due mesi è in carcere con l'accusa di associazione mafiosa: secondo gli inquirenti avrebbe effettuato forniture di calcestruzzo grazie al boss di Castellamare Mariano Saracino,anch'egli arrestato nello stesso blitz.