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11/08/2016 06:45:00

La droga, il tablet, la furia cieca. Così Ben Saada ha ucciso Angelo e Rita a Mazara

C'è un ex ragazzo metà tunisino e metà italiano, che ragazzo forse non lo è stato mai, perchè sta in Sicilia da quando era ragazzino, ma per lui il viaggio sempra non essere mai finito. E' per questo che, quando può, si imbarca nei pescherecci. Per chi non sa a quale sponda appartiene, il mare è l'unica patria. Lui si chiama Wajidi Ben Saada, ha 34 anni, vive in una modesta casa in periferia a Marsala, con la madre che ogni tanto, quando può, lo lascia per andare a trovare i parenti a Bizerta.  Lo lascia da solo, lo lascia con i suoi demoni. Wajidi, infatti, ha tanti problemi. Uno è il lavoro che manca. Un altro è la droga. L'eroina se la procura dove può, come può. E tra i suoi fornitori, ad un certo punto, spunta un mazarese, Angelo Cannavò. Anche lui è un ex ragazzo che giovane forse non lo è stato mai. Vive nel quartiere di Mazara 2, tra palazzine fatiscenti e nessun servizio. Angelo ha tentato anche lui di trovare un lavoro stabile, non c'è riuscito. Si è rimesso a fare allora quello che faceva una volta: spacciare. Si rifornisce di droga, e la rivende. Con la differenza, tira a campare. 

C'è questo ex ragazzo tunisino che incontro questo ex ragazzo mazarese. Il primo ha una domanda, il secondo ha un'offerta. La legge del mercato, però, prevede che ci sia anche un prezzo. E soldi Wajidi non ne ha. Ha una cosa, sola, per lui preziosa. Un tablet. Gli serve per connettersi con i suoi amici e la sorella a Bizerta, per svagarsi un po'. Il tablet diventa il pegno per un futuro pagamento: Wajidi non ha i soldi per la dose, Angelo accetta in pegno il tablet: quando avrà pagato, gli sarà ritornato.

E siamo a venerdì mattina. Wajidi sta male. Vuole il suo tablet, ma non ha i soldi. Vuole la droga, ma non ha nulla da offrire. Parte e va a casa di Angelo. Suona, ma lui è chiaro: senza soldi, niente tablet, e niente droga. Lui chiede di poter parlare, Angelo scende. La discussione è concitata. Volano parole grosse. Poi succede che Waidi perde la testa. Fa per andarsene, entra in auto. Prende un grosso coltello, una specie di machete. Angelo urla, e muore con l'urlo in gola. Sgozzato. Le urla di Angelo hanno attirato la sua compagna Rita Decina. Di lei potremmo dire molte cose: di tutti i sogni che ha avuto, e che si sono infranti di fronte alla ruvidezza della vita. Degli stenti, della mamma morta per un tumore, di un fratellino da accudire, di mille progetti fatti per andare via con Angelo. Rita scende, conosce Wajidi, perchè è venuto altre volte, è Ben Saada, quello del tablet. Lo vede sgozzare il compagno, urla, cerca di scappare. Il tunisino la raggiunge, gli occhi pieni di sangue. La mattanza continua. La colpisce sul pianerottolo, alla schiena, poi di nuovo alla gola. Così muore Rita. Che fa una cosa disperata, con l'ultimo barlume di lucidità rimasta. Con il sangue, il suo sangue, cerca di scrivere una B e una S, per indicare il nome dell'assassino che è già scappato via verso Marsala. Ne vengono fuori due lettere pasticciate, la B sembra una F, la S forse una E. 

Sono le 13 e 45 di venerdì. A Mazara 2 c'è caldo e silenzio. E morte. E paura. Nel popoloso quartiere di Mazara nessuno dice di aver visto o sentito nulla. Ma non è vero. Con i giornalisti, o con i poliziotti questa gente non parla. Ma a microfoni spenti qualcuno dice di aver sentito quelle urla animali provenire dalla palazzina. "Solo che scene così, inseguimenti, accoltellamenti, minacce, gente che scappa di casa, urla - ti dicono - avvengono ogni giorno. Ed è meglio fare finta di nulla, non immischiarsi". In molti hanno sentito, quanto meno sentito, quello che avveniva. Nessuno è intervenuto. Anzi, in verità, qualcuno ha cercato di salvare la vita a Rita. Sono state trovate tracce di una terza persona, un vicino che si è affacciato, qualcuno che ha cercato di non stare a guardare. Ma si è come volatilizzata questa persona, rinchiusa, riassorbita nel muro di silenzio che impasta le vite qui a Mazara 2. 

Ben Saada fugge a Marsala, probabilmente è riuscito a rubare della droga, di sicuro non ha riavuto il suo tablet. Arriva nella sua abitazione di Contrada Ranna. Lì, aspetta. La madre non c'è, è partita. Ben Saada non è stupido: sa che è stato visto, sa che ha fatto una strage, sa che è solo questione di tempo. Potrebbe scappare, certo, ma non ha una lira in tasca. E non ha voglia: non si cura neanche di lavare i vestiti sporchi di sangue, nascondere l'auto, inventarsi un alibi. E poi, spera, forse, che infine la polizia lo trovi, e presto. Prima che lo trovi qualcun altro.

La polizia è da subito sulle sue tracce. Nella perquisizione domiciliare a casa di Rita e Angelo vengono trovate diverse dosi di droga pronte per la vendita, il solito kit casalingo dello spacciatore di quartiere (bilancia di precisione, etc,), ma viene trovato anche il tablet, con la scheda Sim intestata al tunisino. E le poche immagini a disposizione delle videocamere di sicurezza installate qua e là nella zona mostrano proprio un'auto che si allontana da Mazara a velocità sostenuta intorno alle due. Ed è l'auto di Ben Saada.

La polizia trova Ben Saada presto. Ma prima arrivano i demoni. E la storia triste, tragica e violenta di questo tunisino finisce con una trave, una corda e un corpo appeso. Quando la polizia bussa a casa sua non risponde nessuno. I poliziotti decidono di entrare - la macchina è posteggiata lì davanti, non può essersi allontanato, magari dorme - , e trovano il cadavere di Ben Saada. Poi, in giro per casa, gli abiti sporchi di sangue. In macchina, il coltellaccio utilizzato per la mattanza.