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08/12/2016 06:10:00

Marsala, omicidio Mirarchi. Facciamo il punto sulle indagini

 Non è per niente chiuso il caso dell'omicidio del maresciallo Silvio Mirarchi, ucciso nella notte del 31 maggio scorso, a Marsala, nelle campagne di Ventrischi.
A sei mesi dal delitto continuano le indagini per venire a capo dei fatti di quella notte, quando Mirarchi, vice comandante della stazione di Ciavolo, è stato raggiunto da alcuni colpi d'arma da fuoco mentre si trovava in servizio nei pressi di una serra di marijuana.
Le indagini svolte dalla procura di Marsala hanno portato nei giorni successivi all'omicidio all'arresto di Nicolò Girgenti. Al momento è lui l'unico ad esser ritenuto responsabile dell'omicidio del maresciallo. Ma gli inquirenti stanno cercando ancora degli eventuali complici.
Mirarchi, quella notte, non era solo, si trovava assieme a un collega. E l'ultima svolta del caso riguarda proprio il collega di Mirarchi. Nei giorni scorsi Girgenti ha ricevuto in carcere la nuova informazione di garanzia per tentato omicidio ai danni del carabiniere che si trovava insieme a Mirarchi. I carabinieri e la Procura di Marsala, con la fondamentale collaborazione del RIS di Messina, hanno dimostrato che Girgenti avrebbe sparato ad altezza d'uomo e che il Carabiniere di pattuglia con il Maresciallo Mirarchi era rimasto illeso solo grazie al repentino movimento con cui si era messo al riparo.
A Girgenti sono inoltre contestate altre due aggravanti relative all’omicidio e quindi anche al tentato omicidio: quella dell’aver commesso il fatto nei confronti di un pubblico ufficiale (le indagini infatti hanno permesso di appurare che Mirarchi ed il collega poco prima dell’esplosione dei colpi di pistola si erano qualificati ed avevano intimato l’alt);  e di aver commesso il reato per assicurarsi l’impunità di un altro reato. Infatti i Carabinieri hanno ricostruito che Girgenti in compagnia di altri complici era intento a sottrarre piante di marjuana dalle serre di contrada Ventrischi quando venne scoperto dal Maresciallo Mirarchi e dal collega.
Gli investigatori, dopo l'omicidio dell'esponente dell'Arma, hanno condotto un'indagine serrata su cio che si muoveva in quelle zone, sulla piantagione di marijuana. Hanno arrestato prima un uomo, titolare della serra con sei mila piante di marijuana. Poi sono andati avanti dell'inchiesta e si è arrivati all'arresto di Girgenti. Il bracciante agricolo è stato fermato tre settimane dopo dall'omicidio, dopo le analisi svolte dai Ris di Messina e i vari indizi raccolti. Innanzitutto le dichiarazioni di Girgenti a cui si è arrivati ricostruendo la cerchia di persone che gravitava attorno alla piantagione. Girgenti ha fornito agli investigatori una ricostruzione “non veritiera rispetto all'esito dei riscontri investigativi”. Gli inquirenti hanno controllato anche l'auto utilizzata da Girgenti che è stata ripresa da due telecamere a circuito chiuso mentre percorreva “la possibile via di fuga dal luogo dell'omicidio”. La prova madre, per gli inquirenti, è invece lo Stub, il tampone che permette di rilevare le tracce da sparo. I Ris hanno infatti riscontrato tracce negli indumenti di Girgenti. Per gli inquirenti le tracce sono riconducibili esclusivamente allo sparo di armi da uoco che “non possono essere in alcun modo dovute alla contaminazione da concimi e ferilizzanti usati per lo svolgimento della sua professione di vivaista”. Così gli inquirenti hanno risposto alla tesi della difesa di Girgenti rappresentata dall'avvocato Vincenzo Forti secondo cui, appunto, ci sarebbe stata una “contaminazione” dei campioni e che quelle tracce si riferivano ai materiali usati da Girgenti nella sua professione. “Nei fertilizzanti - evidenziò il legale - sono presenti rame, zinco e nichel”. E anche in questi giorni, l’avvocato Forti l’ha ribadito, aggiungendo che su una mano di Girgenti “è stata trovata una sola particella che potrebbe far presumere l’uso di armi da fuoco, mentre secondo la dottrina ne occorrono dieci”. Il legale ha, inoltre, affermato che il suo cliente gli ha riferito che quando i carabinieri hanno preso i suoi vestiti non avrebbero utilizzato guanti, tute e mascherine. Li avrebbero presi da una cesta, sempre secondo Girgenti, e messi dentro il portabagagli. “E dentro il portabagagli delle auto-pattuglie – dice l’avvocato Forti – di solito ci sono armi e munizioni. Secondo il mio consulente, poi, tutte queste particelle su quattro diversi capi d’abbigliamento sono la prova che c’è stata contaminazione ambientale”.
Intanto non è stata trovata né l'arma del delitto, né gli eventuali altri complici. In questo senso le indagini proseguono.
Mirarchi, calabrese, viveva da anni a Marsala, e la sua uccisione ha scosso molto la comunità.