Su istanza dell’avvocato difensore Celestino Cardinale, la Corte d’appello di Palermo ha revocato la confisca dei beni ad Anna Patrizia Messina Denaro, sorella del più famoso e pericoloso tra i boss latitanti di Cosa Nostra. I beni (tre terreni agricoli per un valore stimato di 70 mila euro) erano stati confiscati nel settembre 2015 dalla Dia in esecuzione di un provvedimento emesso dalla sezione Misure di Sorveglianza di Trapani presieduta dal giudice Piero Grillo. Alla sorella del capomafia era stato tolto il controvalore dell’estorsione che questa, secondo l’accusa, aveva commesso ai danni di Girolama La Cascia, che gli versò 70 mila euro, affermando poi davanti il Tribunale di Marsala (processo “Eden”) che eseguì soltanto una disposizione testamentaria “orale” dell’anziana possidente castelvetranese Caterina Bonagiuso, che era madrina di Anna Patrizia Messina Denaro. Dall’accusa di estorsione a Girolama La Cascia, però, la Messina Denaro è stata assolta. E su questo ha puntato la difesa per ottenere la revoca della confisca. Pur annullando, però, la misura di prevenzione patrimoniale, la Corte d’appello di Palermo ha confermato quella di prevenzione personale. E cioè i 4 anni di sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno, disposta dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani in quanto, secondo l’accusa, sorella del latitante avrebbe svolto “un ruolo di raccordo con il fratello per scambi d’informazioni e per il coordinamento delle risorse economiche”. Lo scorso 10 ottobre, a conclusione del processo di secondo grado scaturito dall’operazione “Eden” del 13 dicembre 2013, la Corte d’appello di Palermo (presidente Raimondo Lo Forti) ha condannato Anna Patrizia Messina Denaro a 14 anni e 6 mesi di carcere per associazione mafiosa (in primo grado, il Tribunale di Marsala l’aveva condannato a 13 anni per concorso esterno), nonché per la tentata estorsione a Rosetta Campagna, una delle eredi di Caterina Bonagiuso. La stessa Corte confermò, inoltre, i 16 anni inflitti, in primo grado, al nipote Francesco Guttadauro. Anche lui condannato, oltre che per 416 bis, per la tentata estorsione alla coriacea Rosetta Campagna, che non volle arretrare neppure di un centimetro davanti alle richieste della “figlioccia” della Bonagiuso.