Si presenta con il nome e cognome di un morto. E va in giro con una faccia nuova, impiantata da un chirurgo estetico di Messina, che opera in Piemonte. E' l'ultima novità su Matteo Messina Denaro, raccontata da un pentito di 'ndrangheta. Come sempre, in tutti questi casi, non si tratta di una rilvelazione diretta, ma della classica storia del tipo "ho avuto un compagno di cella che ha avuto un compagno di cella che gli ha detto...".
Sarebbe stato un pentito calabrese, già collaboratore dei pm di Reggio Calabria e Genova, a dare l’avvio all’indagine con le sue dichiarazioni a proposito di presunti favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro. L’uomo avrebbe raccontato di “aver condiviso dei periodi di detenzione con 'Vincenzo Salpietro e Antonino Penna' (un altro pregiudicato di origine calabrese)”. In quel periodo, proprio da queste persone avrebbe “appreso circostanze che riguardano la latitanza del capomafia trapanese”.
Si tratterebbe di notizie variegate che vanno “dall'intervento chirurgico (al volto?, ndr) eseguito in Piemonte o in Val D'Aosta da un medico di cui il collaboratore conosce l'identità, ai contatti che Salpietro, con il coinvolgimento della moglie, avrebbe intrattenuto con il padrino trapanese”. Proprio per questo l’ipotesi di favoreggiamento riguarderebbe “anche la donna e alcuni personaggi di Campobello di Mazara e Castelvetrano”.
Ma ecco chi sono gli indagati: Vincenzo Salpietro, Francesca Chiaramonte, Antonino Penna, Vito Manzo, Francesco Leva, Francesco Murania, Nicola Alvaro, Domenico Antonio Mollica.
La vicenda è divenuta tale che sono entrati in ballo anche i magistrati di Palermo. E’ stato in particolare il Gip Lorenzo Matassa a ritenere utile una udienza preliminare, anche se il pm Maurizio Agnello pareva orientato ad archiviare il caso.
Di conseguenza ha ordinato l’imputazione coatta per 8 persone. Tra queste personaggi come "Alvaro e Mollica, noti alle cronache giudiziarie della Calabria". Oppure "Vincenzo Salpietro, vecchio boss di Trabia, nel Palermitano".
Il pubblico ministero Agnello però riterrebbe esistente “un vizio formale nell'ordinanza di imputazione coatta del giudice ed ha pronto un ricorso in Cassazione perché ‘sarebbe stato violato il diritto di difesa degli indagati”.