Il latitante arrestato oggi nel Milanese dalla Polizia di Stato, mentre si nascondeva, leggeva la biografia di uno dei più noti 'fantasmi' della criminalità organizzata, quella di Matteo Messina Denaro.
Quando gli investigatori milanesi sono entrati nell' appartamento dove Giuseppe Grillo si nascondeva, a Buccinasco, al quarto piano di un condominio, hanno trovato una valigia già pronta.
Grillo ha atteso qualche minuto prima di aprire la porta, il tempo necessario per gettare il proprio cellulare dalla finestra. Sul suo comodino però c'era il libro "L'invisibile" di Giacomo Di Girolamo, sulla vita di Matteo Messina Denaro.
Ecco come racconta l'arresto il Corriere della Sera:
Nella mafia si dice che non ci sia rifugio più sicuro che casa propria. E in effetti anche Giuseppe Grillo non era andato molto lontano. E non solo perché dalla sua casa di via Cadorna a Buccinasco al covo di via Mascagni 7, c’è poco più di un chilometro in linea d’aria. Ma perché quell’appartamento al quarto piano era stato, qualche anno prima, l’indirizzo di residenza di suo cognato, Domenico Papalia. La casa era vuota in attesa di essere venduta all’asta. Dentro solo pochi mobili: tavolo, sedie, un letto e un comodino. Sopra la copia del libro «L’invisibile» di Giacomo Di Girolamo sulla vita di Matteo Messina Denaro, l’uomo più ricercato d’Italia.
Giuseppe Grillo non è un mafioso. È nato a Locri, in provincia di Reggio Calabria, ma la sua famiglia è originaria di Platì, feudo delle cosche d’Aspromonte, regno dei Barbaro, dei Perre, dei Trimboli, degli Agresta, dei Musitano. Nel pedigree criminale di Grillo ci sono molte note e tutte di poco conto se si esclude la condanna, appunto, a 7 anni e 4 mesi rimediata in un’inchiesta antidroga dei carabinieri di Corsico che risale a dieci anni fa. La condanna è diventata definitiva a febbraio, con il rigetto da parte della Cassazione del suo ricorso, e di quello di altri trafficanti. Era da questa condanna che scappava da quasi tre mesi.
Ma la sua non è la storia di un semplice spacciatore di cocaina. Più dei precedenti (anche un’accusa di tentato furto) — secondo la polizia — conta il suo stato di famiglia. Perché dopo essersi trasferito a Buccinasco Giuseppe Grillo ha sposato Serafina Papalia, la figlia di Antonio, il boss dei sequestri degli anni Novanta. E Antonio, 63 anni, oggi all’ergastolo nel carcere di Padova dove scrive libri e viene premiato per le sue raccolte di poesie, insieme ai fratelli Domenico e Rocco è considerato uno dei padrini più importanti arrivati negli anni Settanta in Lombardia. E la famiglia Papalia è legata in modo indissolubile a tutti i rami della cosca dei Barbaro di Platì, dai nigri, ai rosi, ai potentissimi castani. E oggi condiziona anche i nuovi assetti delle cosche calabresi visto che il maggiore dei figli di Antonio, il 38enne Pasquale, ha sposato Giuseppina Pelle, la figlia di Peppe Pelle, a sua volta discendente del boss Toni Gambazza di San Luca. Il gotha della ‘ndrangheta della droga e dei sequestri riunito in una sola famiglia.
Che i matrimoni nella ‘ndrangheta siano strumento per alleanze criminali più che il coronamento di storie d’amore, lo sostengono molti investigatori e studiosi. Su tutti il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Che lo stesso valga nelle aule giudiziarie, invece, è ancora tutto da stabilire visto che proprio il processo Cerberus che vede alla sbarra i nuovi assetti dei Barbaro-Papalia è appena ricominciato (per la terza volta) in giudizio d’appello dopo il doppio rinvio della Cassazione. Perché per i giudici non basta un certificato di matrimonio a stabilire un patto tra clan o la presunta appartenenza alla ‘ndrangheta.
Per questo è impossibile sostenere che anche quello di Serafina Papalia e Giuseppe Grillo sia stato un matrimonio d’interesse. Ma sposare la figlia di un boss ergastolano come ’Ntoni Carciutu, il soprannome di Papalia, garantisce nell’ambiente criminale una sorta di aura di onnipotenza. E allora oggi a leggere i verbali dell’arresto di Grillo qualcuno potrebbe sorridere immaginando la scena di una latitanza quasi improvvisata, con la moglie pedinata mentre porta panni e spesa al marito chiuso in casa e i poliziotti della squadra Mobile nel parco che passeggiano con il cane fingendosi vicini di casa.
Perché è stato davvero così, seguendo i movimenti di Serafina Papalia, che gli investigatori guidati da Lorenzo Bucossi sono arrivati a scoprire il covo del latitante e — mercoledì sera — a mettergli le manette. Lui ha detto che si sarebbe consegnato, che attendeva solo la prima comunione della figlia da qui a pochi giorni per presentarsi ai carabinieri. Tanto che ha mostrato la valigia già pronta accanto al letto. Ma le cose non sono andate proprio in maniera così artigianale. Anzi. E per gli agenti Giuseppe Grillo era pronto invece a fuggire. A cambiare covo o forse a cercare riparo nella sulle montagne di Platì, in attesa di tempi migliori. La sola certezza è che Grillo non s’è mai mosso da Buccinasco in questi tre mesi e che si sentiva sufficientemente sicuro.
Almeno fino a mercoledì quando a Grillo sarebbe arrivata la soffiata che gli annunciava che sarebbero arrivate le guardie.
I poliziotti hanno seguito la moglie lungo la passeggiata Rossini, un percorso pedonale attraverso il verde che porta al complesso di via Mascagni. Poi sono riusciti a entrare nel palazzo attraverso i box e infine si sono appostati alla porta. Grillo ha cercato di rubare preziosi secondi prima di aprire la porta blindata che gli sono serviti per lanciare dal quarto piano il telefonino (un Nokia di vecchio tipo) con il quale effettuava chiamate brevissime e che accendeva solo pochi minuti al giorno. Il telefono però — a conferma della proverbiale fama dei vecchi cellulari — è rimasto intatto. E ora potrebbe svelare molti segreti sulla rete che lo ha protetto.