Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
20/07/2017 06:00:00

Bastianu e Juanito

 Anni fa, nell’Aula Magna del Liceo “P. Ruggieri”, gremita fino all’inverosimile per la presentazione di ‘Marsala L’Industriosa’, secondo volume della pregiata collana pubblicata dalle ‘Edizioni del Vomere’, m’ero permesso di chiedere: “A quando la pubblicazione di ‘Marsala La Proletaria’? Apriti cielo: la domanda a molti sembrò una provocazione. E, uscendo dall’Aula, più d’uno se ne lamentò con gli organizzatori. Che, sorpresi, me ne riferirono. “Ma, st’Assessuri chi vosi riri?”: questa l’espressione più ricorrente tra gli astanti, mentre sciamavano verso l’uscita. Ora, se la Storia è storia dell’eterna lotta tra le diverse classi sociali – ad onta di chi, insieme alle ideologie, ne proclama la fine – ciascuna di esse ha lasciato il segno ed è sacrosanto farne memoria e renderne testimonianza alle nuove generazioni. Gli anni passano, ma di “Marsala, La Proletaria”, finora, non s’è scritta neanche la prima riga.

Nell’attesa, già dalla scorsa estate, provo a raccontare un altro segmento del popolo marsalese, da sempre oggetto trascurato e non soggetto di Storia: il sottoproletariato urbano. I cui ultimi esemplari ho il privilegio d’osservare, frequentando lo scoglio più rinomato del fascinoso lungomare cittadino: le mitiche “Due Rocche”. I miei sparuti lettori lo sanno: racconto piccole storie degli ultimi pasoliniani, cui mi sento legato da un rapporto di forte empatia. Provengono dallo stesso ambiente popolare nel quale anch’io sono nato e cresciuto. Come me, hanno frequentato – prima di accedere, in qualche raro caso, agli alti studi nei vari Atenei italiani – la più importante delle Università: L’Università della Strada. Ed è in quest’ultima, che s’è formato anche il protagonista della vicenda che segue.

Si chiama Bastianu ed è stato, fin dall’infanzia, uno dei miei innumerevoli compagni di giochi. Di umili origini, il padre, marinaio, nonostante i grandi sacrifici – ancor prima dell’alba, passando per Via dei Mille, andava al lavoro ca nassa ‘ncoddru e a pir’in terra – solo di rado riusciva ad assicurare due pasti al giorno alla sua numerosa famiglia. La carne, poi… quando andava bene, la mangiavano non più d’una volta al mese. Senza corpo ferire, Bastianu e i suoi fratelli lasciarono anzitempo la scuola. Lui era il più grande e, per sbarcare il lunario, capì in fretta che bisognava darsi da fare. Ri dritta o ri toitta, ‘u pitittu s’avia attuppari. Bastianu è sveglio, forte, risoluto. L’incanto dell’infanzia si dissolve in un lampo. Non è più tempo di giocare ammuccia ammuccia, ‘e ciappeddri, ‘o palluni. Il padre è sempre fuori casa per lavoro. La madre assediata ri picciriddri chi, p’a fami, hann‘a rica. L’infausto giorno che, per i troppi stenti, sò patri mori, Bastianu pigghia ‘a via ri l’ascìtu. Comincia a frequentare ragazzi più grandi, già valenti ‘operatori del settore’… ‘Un sù malacarni, c’addiventano.. per cercare di mettere d’accordo il pranzo con la cena. Srotolano, lenti, anni di vita tribolata, vissuta sempre sul confine tra legale e illegale. Finché, a seguito di un azzardo più rischioso dei precedenti, Bastianu perde per qualche tempo la sua libertà: c’accollanu qualche anno ri “villeggiatura”. Saldati i conti con la giustizia, accumencia a filari drittu, s’attrova ‘u beddru travagghiu e, ora, si pò pemmèttiri ri cuntàrini qualche episodio della sua “travagghiata e disprizzata vita” (per dirla con Vincenzo Rabbito, l’autore di “Terra Matta”). E’ un uomo indurito dalla vita, ma è riuscito a non sopprimere il bambino che è in lui. Ha dovuto vestire un’armatura d’acciaio, ma non ha perso l’originaria tenerezza. Quando, raramente, viene a trovarci, è capace di stare per ore in silenzio, ma talvolta, per una strana alchimia, apre il suo cuore agli amici d’un tempo e racconta…

Nel tardo pomeriggio di un’infuocata giornata d’estate, addossato alle sbarre della sua cella, vede cadere sul davanzale un povero cardellino, precipitato dal nido e ancora incapace di volare. Bastianu, lo raccoglie. Lo cura. Lo rimette in sesto, soffiandogli aria calda cà vucca. L’ociddruzzu, arasciu arasciu, s’arripigghia. Ricomincia a mangiare. Prova a volare. La notte,rannicchiato accanto al suo collo taurino, dorme beato: sicuro che Bastianu unn’u scaccia. La vita, però, ‘mmilleggiatura, è vita assai grama. I nervi sono tesi come corde di violino tzigano. Una sira, i sette ospiti sono in preda ad istinti animaleschi. P’accuizzari: comincia una selvaggia battaglia ri cavittùna. Alla fine, c’è mezzo metru r’acqua ‘nterra! E L’ociddruzzu? Annaspa, mezz’anniatu, in un angolo. Bastianu, ‘u viri. ‘U pigghia. L’asciuga. ‘U metti a testa sutta. Juanito – questo è il nome che Bastianu ha dato al povero cardellino – arrivisci! Nuddru, però, ci po livari ri ‘ntesta che il colpevole della sua disavventura è un compagno di cella di Bastianu,‘ngiuriatu Mustazzu. La notte, mentri chiddru roimme,ci va vicinu e cu beccu..cafuddra. Mustazzu, s’arruspigghia e Juanito s’ammuccia arrè ‘u cuscinu. Chiddru s’addummisci arrè e l’oceddru ci veni ‘nsonnu. “Juanito runni sì? Appena t’agguantu, ti bbummùliu a testa!”. Ma l’ociddruzzu ‘un si fa mai acchiappari: del resto, cu piattica a maistru, all’annu nesci mastru! Pigghia coraggiu: pima accumencia a vulari rintra ‘a cella, poi prova a librarsi fora ‘ra finestra. Manca una mezz’urata e poi toinna. Un ghioinnu, però, vola alto, attratto dal cielo terso d’agosto. Comu fu e com‘un fu: ‘u caiddiddru, un tuinnau cchiù! Va capisci, foissi sbagliau finestra. A pima, a secunna, a tezza vota. Poi s’arrinniu e va trova unn’iu a finiri… Mentre racconta, a Bastianu, c’arrizzanu ‘i cainni… Quarant’anni passaru, ma iddru, a Juanito, ancora un sù scoidda!

G. Nino Rosolia