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02/01/2018 06:00:00

Mafia e massoneria: l'ex Gran Maestro e il terzo livello

 Se la mafia si infiltra nella politica e perfino nell’antimafia, non si capisce per quale motivo dovrebbe lasciar fuori la massoneria. In molti però, che più che preoccuparsi delle presenze mafiose al loro interno, tentano di difendere acriticamente la propria obbedienza da ciò che viene percepito come un attacco da parte di una commissione parlamentare antimafia nazionale, vista soltanto come elemento delegittimante politicizzato.

Ma dire che la massoneria è mafia, sarebbe come identificare la chiesa con la pedofilia o la politica con la corruzione. Oppure ancora il cittadino castelvetranese o corleonese come mafioso ed il casalese come camorrista. Ed evidentemente non è questa l’intenzione della commissione parlamentare, interessata alla mafia nella massoneria e non certo alla massoneria come emblema di mafia. 

Allo stesso tempo, non regge molto l’assunto secondo il quale le uniche “ombre” della massoneria siano da far risalire unicamente ai tempi della P2 di Gelli, sospesa dal Grande Oriente d’Italia nel ’76 e sciolta per legge  nell’82, oppure alle vicende trapanesi di Iside2, la loggia che accoglieva tra i suoi membri anche boss mafiosi come Mariano Agate, Natale L’Ala, Natale Rimi ed altri.

 

Di fatto, sembra che queste vicende non abbiano prodotto un sistema di controllo serio ed operativo, atto a mantenere un ritrovato decoro ed una resistenza delle istituzioni massoniche all’infiltrazione mafiosa. In questi casi, infatti, sembra siano state determinanti le dinamiche di pochi anni dopo, quando ci si sarebbe aspettati un significativo giro di boa ed un rinnovamento totale.

Invece, le premesse per un tessuto influenzato da persone ed obiettivi distanti mille miglia dai principi massonici, rimasero. E rimasero al punto da portare l’allora gran maestro Giuliano Di Bernardo a dimettersi, nel 1993 dal Goi e nel 2002 dalla Grande Loggia regolare d’Italia che lui stesso aveva fondato.

 

Le sue prime dimissioni dal Goi erano scaturite in seguito all’inchiesta del procuratore di Palmi, Agostino Cordova, avviata nel 1992. Alla commissione parlamentare antimafia l’ex gran maestro ha raccontato la sua testimonianza:

Il procuratore Cordova mi fece pervenire la richiesta di avere gli elenchi di tutti i massoni calabresi, motivandola col fatto che in molti reati erano presenti massoni; il Gran segretario mi informò di questa richiesta e io feci allora una riflessione: se io do gli elenchi non creo problemi a tutti quei massoni che non hanno nulla da nascondere e si dà la possibilità di far uscire allo scoperto i massoni non degni di stare in questa loggia”. E così fece.

Qualche tempo dopo gli chiesero anche gli elenchi di tutti i massoni iscritti al Goi d’Italia. Di Bernardo parlò con i membri della giunta, che però gli diedero picche.

A quel punto scattò il sequestro di una considerevole mole di materiale, esattamente come è accaduto ai nostri giorni, con la differenza che allora l’inchiesta era di un procuratore e non della commissione parlamentare antimafia.

C’era stata la possibilità di fare chiarezza – ha ricordato Di Bernardo - ma così non fu”.

Infatti, l’inchiesta Cordova fu archiviata ed il gran maestro si dimise, fondando la Grande Loggia Regolare d’Italia. Da cui si dimise invece nel 2002, abbandonando definitivamente la massoneria.

Vedo oggi ripresentarsi le stesse condizioni del 1992 – ha aggiunto - quasi fosse una fotocopia”.

 

Ma che cosa era emerso?

In Calabria, 28 logge su 32 erano controllate dalla ‘Ndrangheta. Così gli era stato riferito nel corso di un incontro con i vertici del Goi, nel 1993. E i provvedimenti? Nemmeno uno. Il motivo era semplice: “Paura di rappresaglie”.

Inoltre, intorno agli anni ’90, Di Bernardo aveva appreso notizie inquietanti anche dalla Sicilia. In una riunione a Palermo, l’allora vertice delle logge siciliane del Goi gli suggerì di non accettare l’invito del presidente del consiglio regionale, proveniente da Campobello di Mazara, in quanto mafioso o collegato con la mafia. Tutto questo, sullo sfondo dell’assenza di controllo da parte degli ispettori del Goi.

Ecco perché Di Bernardo si dimise, fondando una nuova obbedienza (GLRI) con delle regole stringenti, proprio per evitare il rischio di infiltrazioni mafiose, come la consegna annuale al Ministro dell’interno dell’elenco completo degli iscritti e la certificazione dei bilanci.

Ma niente da fare, anche lì non ha funzionato. E Di Bernardo chiuse con la massoneria.

 

Un’esperienza dall’alto, quella di Augusto Di Bernardo, che nella relazione della commissione parlamentate, viene integrata da un’esperienza dal basso: quella del collaboratore di giustizia Francesco Campanella.

Originario di Villabate, in provincia di Palermo, appassionato sin da giovane di politica, di massoneria e, ovviamente, di mafia, essendo al servizio del boss Nicola Mandalà il quale, per un certo periodo, curò la latitanza di Bernardo Provenzano.

Campanella era dunque uno dei gradini bassi, sia della mafia che della massoneria. Da una parte e dall’altra sapevano della sua duplice appartenenza. Ai capi della cosca ed ai fratelli di loggia andava bene così. Anzi, questi ultimi, si trovarono perfino ad aderire ad un suo progetto, costituendo una società per la gestione dei finanziamenti pubblici regionali, grazie alla sua giusta copertura.

E a sua volta, lo stesso Campanella, grazie ai fratelli massoni, venne in contatto con un avvocato che gli ritornò utile nei propri affari.

Non può che colpire, infine l’episodio, che Campanella racconta alla commissione, sull’arresto del boss Mandalà, che una settimana prima gli confida: “Mi arresteranno, fai riferimento a mio padre”.

Provenzano comunica a Mandalà – spiega Campanella - esattamente la settimana prima che sarà arrestato, che si deve fare arrestare, che lui cambierà covo, quindi di non parlare, di mettere tutto a posto. E Mandalà lo comunica a me”.

Attraverso le confidenze del boss Mandalà, Campanella aveva appreso “che esisteva un terzo livello di soggetti in relazione direttamente con Bernardo Provenzano, all’epoca, che consentiva alla mafia di avere benefici a livello di informazione da forze dell’ordine, magistrati, servizi segreti, ecc. ( ..) Informazioni di prim’ordine. ( ..) a un terzo livello dove c’era di mezzo la massoneria”.

 

Egidio Morici