Di cosa parliamo quando parliamo di dialetto? Di un retaggio antico, di una lingua fossile, incomprensibile ai più: ci riallaccia sempre ad un passato, a noi vicino, sì, ma percepito come un tempo diverso. Ormai irrimediabilmente distante.
C'è però chi crede che il dialetto non debba essere relegato in questa prigionia passatista, c'è chi continua a pensare che una lingua che alimenta la sua capacità espressiva dalle radici di un'anima terragna, e non sciacqua i panni in Arno, sia ancora in grado di raccontare il presente e del presente far percepire il suo caotico manifestarsi. Questi chi nella nostra provincia si raccolgono nel nome del poeta Marco Scalabrino.
Nella sua lunga attività di studioso del dialetto e di autore dialettale, Scalabrino restituisce alla poesia siciliana la sua frevi, la sua febbre, quell'ancestrale piressia che ci permette di osservare e di percepire il quotidiano lasciandoci attraversare dal sentimento del tempo della nostra Matria.
Ringraziamo Marco Scalabrino per aver offerto un suo inedito ai lettori di Tp24.
MARCO MARINO
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Zeru virgula
Aju â ‘llestiri un nòlitu,
senza cutugnu né siddiu.
Sugnu a quota dui.
Prima eranu quattru.
Di stu passu arrivu a zeru virgula
e … bonanotti.
A l’acqua!
A l’acqua!
Zero virgola (Adattamento in italiano di Maria Pia Virgilio)
Ho da sbrigare una seccatura,
senza broncio né malanimo.
Sono a quota due.
Prima erano quattro.
Di questo passo arriverò a zero virgola.
e … buonanotte.
All’acqua!
All’acqua!