Tre anni di libertà vigilata per Salvatore Messina Denaro, fratello del superboss latitante di Castelvetrano. Scontata la pena, è tornato in città.
Da venerdì scorso dovrà attenersi ai relativi obblighi previsti. Dovrà mantenere il proprio domicilio a Campobello di Mazara, dal quale non potrà allontanarsi dalle 9 di sera alle 7 del mattino e dovrà presentarsi alla caserma dei carabinieri un giorno a settimana.
Tra gli obblighi, anche il divieto di frequentare pregiudicati, tossicodipendenti, soggetti sottoposte a misure di prevenzione.
Ogni modifica delle prescrizioni dovrà essere chiesta al magistrato di sorveglianza di Trapani. In caso di trasgressione dovrà pagare una cauzione, oppure essere assegnato ad una colonia agricola o una casa lavoro.
Salvatore Messina Denaro aveva da poco finito di scontare una condanna definitiva a 7 anni di reclusione per associazione mafiosa, per un procedimento scaturito dall’indagine Golem 2. Condanna che la Cassazione aveva confermato nel novembre 2013, dopo la riduzione della Corte d’appello di Palermo, rispetto ai 10 anni inflitti in primo grado.
Il fratello del capomafia castelvetranese era stato arrestato nel marzo del 2010, per avere diretto e organizzato il locale mandamento mafioso: riunioni, incontri, affari illeciti, collegamento con le varie articolazioni di Cosa nostra. E soprattutto, per avere contribuito in modo determinante al mantenimento della latitanza del fratello, occupandosi anche dei pizzini.
Era il postino dei messaggi tra Matteo Messina Denaro e l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, il quale però era in stretto contatto con i servizi segreti che avrebbero voluto catturarlo.
Prima di essere arrestato nell’operazione Golem 2, Salvatore Messina Denaro era già stato sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Circostanza, questa, che non gli aveva impedito di occuparsi degli interessi della cosca e che aveva costituito un’aggravante.
Nel dicembre del 2016, invece, era tornato definitivamente in possesso dei beni che gli erano stati confiscati alla fine del 2011. La Cassazione aveva infatti rigettato il ricorso della Procura di Palermo contro la decisione della Corte d’Appello che nell’ottobre 2015 ne aveva disposto la revoca. Beni intorno ai 300 mila euro, tra quote in società, terreni, una Mercedes ed un conto bancario.