Filippo Cutrona appena rieletto segretario provinciale della Cgil di Trapani. I sindacati per ora non godono di un momento di grande popolarità come i partiti e i giornali. I cittadini si chiedono dove erano i sindacati che oggi attaccano Salvini, Di Maio e le misure del cambiamento, dove eravate quando Renzi minava l’articolo 18 e si inventava lo jobs act.
Per la verità noi ci siamo sempre stati. Con i governi che si sono susseguiti negli ultimi anni a partire dal governo Renzi noi abbiamo proclamato ben sei scioperi generali, non mi pare poco per un’organizzazione sindacale. Purtroppo lo abbiamo fatto in religiosa solitudine. Una cosa che non può sfuggire agli occhi di tutti è che la CGIL ha 112 anni di storia, si chiamava Cgil prima e dopo 112 anni continua a chiamarsi Cgil.
Diciamo che dopo la Chiesa, la Cgil in Italia è la seconda istituzione.
Penso che siamo alla pari della Chiesa, in quasi tutti i comuni c’è un campanile, una camera del lavoro e un municipio. Non aver cambiato per 112 anni il nome e avere cambiato il gruppo dirigente vuol dire che qualcosa di solido nel nostro Dna c’è e lo è soprattutto nel DNA della nostra organizzazione che si richiama a regole rigide e rispettose che guardano al mondo del lavoro, di chi lo sta cercando e dei pensionati.
Cutrona, il lavoro giovane, legale e solidale è stato il tema centrale del vostro congresso provinciale.
Noi lo abbiamo voluto chiamare così. Il lavoro deve essere giovane e soprattutto per i giovani, cosa che in queste provincia sta avendo tantissime difficoltà. Noi siamo una provincia con il 26% di disoccupazione, negli ultimi anni siamo cresciuti di 7/8 punti ma abbiamo il 34% di giovani che non hanno un lavoro e quando lo trovano hanno dei lavori precari, dove le regole contrattuali vengono quasi sempre disattese.
Detto così una misura come il reddito di cittadinanza dovrebbe essere una sorta di panacea per questo territorio.
Il nostro giudizio sul Def non è del tutto negativo, c’è anche una parte positiva. E però fatto su delle politiche contrastanti. Con sei milioni di poveri il reddito di cittadinanza ci può stare, lo hanno voluto chiamare con un nome diverso, ma bastava completare con più risorse il Rei (reddito d’inclusione) del Governo Gentiloni e avremmo chiuso la partita, ma da un lato fanno solidarietà dall’altro fanno il condono, sono due politiche diametralmente opposte.
La legge Fornero va buttata giù o va riformata?
Noi non siamo stati contrari rispetto alla riforma della Fornero che va rimodulata, perché pezzi della Fornero hanno l’obiettivo di garantire le pensioni del futuro, va dunque migliorata se si creano dei percorsi di flessibilità, dove i lavori usuranti hanno senso e quindi quei lavoratori possono andare prima in pensione. Da noi provare a mettere la quota 100 significa non mandare in pensione nessuno se non i dipendenti pubblici. Qui il lavoro è precario, con disoccupazione e cassa integrazione, problemi che al nord non hanno come al sud.
E’ discriminante per il meridione del Paese.
Assolutamente sì, perché chi ha pensato a questa riforma l’ha pensata per una parte del Paese, dove ci sono le aziende.
La lega dice che il reddito di cittadinanza è fatto dai meridionalisti per il meridione.
Ma noi non lo vigliamo il reddito di cittadinanza, vogliamo il lavoro di cittadinanza. Noi come Cgil nel 2013 abbiamo presentato un piano del lavoro di 45 miliardi di euro che non ha avuto nessuna opportunità di essere realizzato, che prevedeva ammodernamento delle strade, scuole nuove, creare condizioni di vivibilità, e quei fondi si potevano trovare dall’evasione fiscale che in Italia arriva a 100 miliardi di euro e poi con la creazione di una patrimoniale come c’è in tutti i paesi del mondo.
Cutrona, c’erano tanti giovani che hanno partecipato al congresso Cgil. Ma i giovani si rivolgono al sindacato con tante difficoltà, credono che non gli sia dato il giusto aiuto. Ci sono anche quelli che raccontano di sigle sindacali minori che li sfruttano, non li mettono in regola.
Ognuno risponde delle proprie azioni. Io rispondo per la CGIL. Noi abbiamo una relazione continua e costante con la Rete degli studenti, un’organizzazione di ragazzi che negli anni hanno rafforzato la presenza nel territorio. Trapani è una delle provincia siciliane dove c’è un zoccolo duro di ragazzi che noi coinvolgiamo. L’abbiamo lasciati liberi, senza fagocitare nessuno, li abbiamo coinvolti nel nostro congresso perché ce lo hanno chiesto. In Cgil ogni sabato pomeriggio ci sono venti/venticinque ragazzi che vengono per confrontarsi sui temi del lavoro, sulla pedagogia, sulla filosofia. Un mondo quello giovanile che prova a capire quello che gli ruota attorno nella società.
In questo nostro territorio ormai abbandonato dalla politica, la state sostituendo nel dibattito e nei temi centrali dell’attualità e del sociale?
Preferiremmo non farlo. La politica con la P maiuscola ha un grande ruolo e senza politica un paese non va avanti. Il problema è che in questi anni la classe politica ha fatto tanti passi indietro. Questo non vuol dire che noi siamo meglio o siamo peggio. Io faccio politica da sempre, l’ho fatta per un grande partito che ci faceva sognare di cambiare il mondo, io ci credo ancora che si possa cambiare anche se oggi è molto più difficile perché sono state messe da parte le ideologie. I partiti che una volta erano scuola, non solo di politica ma di vita, ti insegnavano a crescere e a vivere, a rispettare l’ambiente, oggi, invece sono lì, belli e finiti e hanno cambiato due o tre volte il nome. Solo che il Paese vive di politica e se non la fanno i ragazzi e chi ha voglia e passione, si corre il rischio di demandarla ad altri che poi ci portano nelle condizioni in cui siamo in questo momento.
Cosa ci dice riguardo all’aeroporto di Birgi, la Cgil ha un ruolo da spettatrice attiva, spesso intervenite e fate da pungolo.
Siamo preoccupati per l’aeroporto di Trapani ma non bisogna demandare lo sviluppo di questa provincia solo all’aeroporto, faremmo un grande errore. L’aeroporto è un parte importante della nostra economia, ma non l’unico, c’è l’agricoltura, ci sono i beni archeologici, c’è il settore marmifero che sta soffrendo parecchio. Alcuni imprenditori dicono che hanno sofferto per il calo di passeggeri, ho parlato con altri che hanno detto, invece, di aver lavorato nonostante le difficoltà e i pochi voli. Credo che sia naturale la crisi del turismo se diminuisce l’apporto dell’aeroporto, ma abbiamo un settore del turismo e del commercio che sono dei settori poveri, perché non abbiamo turisti che rimangono qui quindici giorni, il nostro rimane un turismo mordi e fuggi.
Questo succede perché mancano i servizi?
Certo mancano i servizi, mancano i trasporti, perché quando si arriva a Birgi non si sa come andare a Marsala, con cosa, se con autobus o treno, e come andare a Segesta. Abbiamo la necessità di collegare bene l’aeroporto con il resto della provincia.
Alla fiera del Turismo di Rimini, importanti Tour Operator hanno detto che Marsala è una meta bellissima, ambita ma che fanno fatica a portare dei gruppi organizzati, perché non ci sono le strutture adatte e una volta arrivati anche con i piccoli gruppi non ci sono i servizi di collegamento non solo per l’aeroporto ma anche per i punti della città.
Purtroppo abbiamo strutture alberghiere che non sono adatte per accogliere i grandi turisti e nemmeno quelli di fascia medio alta. La prima cosa da fare dovrebbe essere quella di realizzare delle strutture turistiche appetibili per chi ha maggiori disponibilità economica. Ma pensare di portare i turisti nelle nostre zone, per poi lasciarli dentro gli alberghi, perché di questo si tratta, è un grosso problema. Siamo circondati da bellezze che non si sa come far visitare e raggiungere se non necessariamente con l’affitto di una macchina.
Filippo Cutrona, 40 anni fa i più grandi proprietari terreni in provincia di Trapani erano i cugini Nino e Ignazio Salvo, 40 anni dopo il più grande proprietario terriero è la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani con i terreni e i beni sequestrati alla mafia e dati in amministrazione giudiziaria. Legislazione avanzata, esempio per l’Europa, abbiamo sperimentato i pro di questa misura ma forse anche i contro dal punto di vista lavorativo, perché nove aziende confiscate su dieci falliscono e i lavoratori poi dicono la mafia mi dava il lavoro, lo Stato me lo toglie e a quel punto fare il sindacalista diventa un po’ difficile.
Un pezzo della mia relazione era dedicato ai beni sequestrati e confiscati. Parlare senza agire è una cosa sterile, non serve a nessuno e soprattutto non serve ai lavoratori che hanno avuto delle opportunità di lavoro e che credono che lo Stato, avendo prima sequestrato e poi confiscato le aziende, pensano che possano perderlo quel lavoro. Abbiamo raccolto le firme che hanno avuto una funzione, dire che le aziende sequestrate o confiscate non possono andare ad un consulente che ha quindici/venti aziende e che poi non è in grado né di seguirle né di gestirle. Noi, invece, pensiamo che bisogna fare un albo nazionale, dove ogni amministratore non può avere più di tre imprese e deve avere anche competenza, perché è inimmaginabile affidare la gestione ad un avvocato e curatore fallimentare. Queste aziende dovrebbero essere affidate a dei ragazzi e ragazze che hanno voglia di sperimentarsi e fare bene in quell’impresa. Il nostro territorio è pieno di terreni sequestrati e confiscati e non può passare il messaggio che la mafia dà il lavoro, perché quello che ha dato la mafia è un lavoro sporco e malvagio. Noi dobbiamo pensare ad uno Stato che dia lavoro certo e con le regole, se è così, la CGIL è disponibile a fare la tutte le battaglie di questo mondo, tra l’altro devo dire con un pizzico di orgoglio, siamo stati noi da soli a raccogliere le firme per provare a cambiare questa legge che riteniamo assurda.