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28/10/2018 06:00:00

Istruzioni in caso di maremoto

 

Qualche giorno fa mi capitò tra le mani un volantino illustrato, pubblicato dall'associazione “Io non rischio” con il concorso della Protezione civile, e intitolato: “Cosa fare durante e dopo il maremoto”. Lo lessi con interesse, ma, stringi stringi, ne ricavai una sola raccomandazione essenziale: quella di darsela a gambe all'arrivo di uno tsunami, lasciando perdere ogni impaccio e cercando di salire in fretta in qualche luogo elevato e sicuro. Che scoperta, pensai. Anche un bambino di tre anni, seguendo il puro istinto animale, non farebbe altro che correre e arrampicarsi da qualche parte, se vedesse arrivare la terribile onda assassina. C'era bisogno della Protezione civile per venirci a suggerire una cosa tanto ovvia?

Ma dopo un po' ci ripensai. E in un lampo d'intuizione afferrai il senso vero e profondo di quell'istruzione apparentemente banale. Ma certo: il maremoto non può essere che una metafora. L'onda che minaccia di travolgerci non viene dal mare – e quando mai s'è visto uno tsunami in Italia, a parte il caso unico di Messina nel 1908? – ma viene dall'oscuramento progressivo delle coscienze bombardate senza tregua da messaggi di odio e di paura. Una schiera crescente di piromani professionisti e dilettanti si prodiga senza tregua nel gettare benzina sul fuoco di drammi sociali – come la povertà, le diseguaglianze, il lavoro precario, l'immigrazione – che andrebbero seriamente affrontati con gli strumenti della comprensione, dell'intelligenza e della concordia generale. Forze politiche e pseudoculturali che si credono sacralmente investite dalla volontà popolare fanno a gara (non solo in Italia, sappiamo) per fomentare e inasprire negli animi rancori, timori, sentimenti irrazionali e vendicativi, false speranze e nefaste convinzioni, e spesso anche pulsioni violente che poi si manifestano in forma verbale – vedi l'odio dilagante sulle reti sociali – e anche in azioni concrete, non di rado criminali.

E allora eccolo, il vero significato di quelle “istruzioni in caso di maremoto”: fuggire dall'onda maledetta e salire su un luogo elevato, vuol dire semplicemente non lasciarsi travolgere dalle pulsioni irrazionali e violente che trascinano verso il basso, in gorghi irreparabili. Vuol dire sapere osservare i problemi dall'alto di una chiara e serena intelligenza. Vuol dire ignorare le ciance dei venditori di fumo, scoprire la bellezza e il valore dei buoni libri e della cultura, e provare rispetto e non sospetto verso le persone che hanno dedicato la loro vita agli studi. Vuol dire evitare come la peste ogni forma di estremismo e di intolleranza, essere prudenti e misurati nel giudicare gli altri, e saper sorridere più spesso di noi stessi e delle nostre vanità. Vuol dire saper trattenere la lingua prima di pronunciare parole che possono ingannare o fare molto male. Vuol dire saper guardare negli occhi di ogni donna e di ogni uomo, di ogni bambina e di ogni bambino di questo mondo, e vedere in essi solo gli occhi di una sorella e di un fratello, di una figlia e di un figlio. Perché altrimenti che senso avrebbe mai per noi la parola “umanità”?

Ripenso a ciò che scrisse nel suo diario una grandissima donna nel terribile anno 1943. Si chiamava Etty Hillesum, ed era una giovane ebrea di Amsterdam, proprio come Anna Frank. E come Anna, anche lei finì ad Auschwitz, e vi morì. Etty, che amava le poesie di Rilke e il Vangelo di Matteo, si domandò nel suo meraviglioso diario: “Ma non esistono forse altre realtà, oltre a quella che si trova sui giornali e nei discorsi vuoti e infiammati di uomini intimoriti?” E osservò: “Ogni atomo di odio che noi aggiungiamo in questo mondo, lo rende ancora più inospitale”. Etty non odiò nessuno, nemmeno i nazisti che la ridussero in cenere. Seguendo l'insegnamento evangelico non ebbe mai la tentazione di “rispondere a Satana con Satana”. Fuggì dall'onda nera salendo molto in alto. E il maremoto non la travolse mai.

 

Sélinos