Ho fatto un sogno. Ho sognato l'imprevista gita ad Auschwitz di uno di quegli sciagurati giovinastri che da qualche tempo imbrattano con grandi svastiche nere le mura delle case della mia città.
Erano le quattro del mattino, e il povero imbecille dormiva beato nel suo letto, sognando di tracciare altre enormi svastiche sui muri, quando all'improvviso una tempesta di colpi si abbatté contro la porta della sua casa. La famiglia si svegliò di soprassalto. Padre, madre, e il figlio sciagurato, si misero a tremare come foglie. Erano paralizzati dal terrore. Tremende grida in tedesco echeggiarono al di là della porta. Volevano dire chiaramente: “Aprite subito, o la sfondiamo!”. Il padre andò e aprì. Un gruppo di feroci SS fece irruzione nell'appartamento, con pistole e mitra spianati. Il capo della pattuglia urlò in una specie di italiano: “Dieci minuten per voi vestire, prendere soldi e documenti, e poi fuori! Raus!”.
Il giovane cretino si fece la pipì addosso per la paura, e s'infilò i pantaloni senza riuscire nemmeno a cambiarsi le mutande. Raccattò scarpe, giubbotto, e qualche inutile cianfrusaglia. Poi fu brutalmente sospinto giù per le scale insieme ai genitori a colpi di calcio di mitra sulle reni. Sotto casa li attendeva una vecchia camionetta militare, carica di altri sventurati, tutti tremanti e stralunati. In un quarto d'ora raggiunsero la stazione romana di Porta Tiburtina, dove sulla banchina dell'ultimo binario si trovarono intruppati in una marea gemente di almeno duemila persone di ogni età, sesso e condizione. Ad attendere quella folla di sventurati c'era un lunghissimo treno di vagoni merci, di quelli antichi, di legno e di ferro, lerci e consunti, da cui emanava un tanfo insopportabile di sudore e di latrina.
Ma il giovane cretino ancora non capiva. “Dove ci vogliono portare?”, si chiedeva. Perché lui era un convinto negazionista, uno di quelli che credono che l'Olocausto sia solo una favola inventata dagli ebrei e dagli intellettuali di sinistra che complottano contro il popolo. Ed ecco, con le solite urla, coi cani, con le bastonate, la folla dolente fu cacciata dentro ai vagoni, con le donne che piangevano, i bambini che strillavano, i vecchi che inciampavano e venivano presi a calci dalle SS.
Il viaggio durò cinque giorni e cinque notti, senza soste, a ritmo lento e tormentoso, col freddo che si faceva sempre più gelido, la fame, la sete, le febbri, la stanchezza mortale, la puzza del piscio e degli escrementi, gli svenimenti, le morti, le crisi di panico e di follia, la disperazione più nera. Infine il treno, nella notte e in una bufera di neve, imboccò il binario centrale di Auschwitz-Birkenau, e sferragliando con suoni stridenti e sinistri andò a fermarsi sulla banchina del campo di sterminio.
Fu allora che il povero cretino finalmente capì. Quando vide l'altissimo camino di un forno crematorio, e sentì l'odore nauseante della carne umana bruciata, allora finalmente una luce sfolgorante si accese nel suo cervello, e riconobbe chiaramente il luogo atroce in cui lo avevano portato, e quale sarebbe stato il suo destino. Essendosi gravemente ammalato di broncopolmonite durante il viaggio, fu giudicato inservibile per i lavori forzati, e subito avviato alla camera a gas.
Ma avvenne allora il miracolo. Proprio in quel momento l'idiota pittore di svastiche si risvegliò nel suo letto, tutto sudato e tremante, e si rese conto che aveva vissuto “soltanto” un terribile incubo. Così, ormai consapevole di quale fosse il vero significato dei simboli osceni che aveva tanto amato, ebbe la gran fortuna di rinsavire, abbandonando per sempre la sua folle cretineria. E senza nemmeno dover pagare la salute mentale con la vita, come invece era toccato molto tempo prima a un altro povero pazzo, ma quanto più geniale, innocente e amabile... un tale di nome Don Chisciotte della Mancha, colpevole solo di avere amato una nobildonna inesistente e di avere combattuto contro delle pecore e dei mulini a vento.
Sélinos