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22/08/2019 08:00:00

Marsala, dissequestrati altri beni a Michele Licata

 La sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Trapani restituisce altri 166mila euro a Michele Licata e ai suoi familiari.

Lo ha fatto correggendo un “errore materiale” commesso nel provvedimento con cui, lo scorso 25 luglio, ha disposto la confisca di una parte dei beni sequestrati nel 2015 al noto imprenditore del settore ristorazione-alberghiero, condannato in primo grado a quasi 4 anni e mezzo di carcere per una maxi-evasione fiscale, truffa allo Stato e malversazione. Sempre con il provvedimento del 25 luglio, è stata disposta la restituzione (ma non subito e non totalmente) di una parte dei beni sequestrati al gruppo Licata.

Sono state restituite, infatti, solo una parte delle quote dei suoi alberghi e ristoranti. Con successivo provvedimento, i giudici hanno depennato dall’elenco dei beni confiscati 19 assegni circolari, per complessivi 95 mila euro, tratti su un conto corrente intestato a Vita Maria Abrignani, moglie di Michele Licata, altri 20 mila su un altro conto corrente della donna e infine 51.005 euro rinvenuti nella disponibilità dell’imprenditore e della madre Maria Pia Li Mandri. E’ questo un altro risultato strappato dal collegio difensivo della famiglia Licata, formato dagli avvocati Carlo Ferracane, Celestino Cardinale, Andrea Pellegrino, Salvatore Pino e Mattias Manco. Intanto, riprenderà il 3 ottobre, in Tribunale, il processo che oltre a Michele Licata vede imputati anche la moglie Maria Vita Abrignani, le figlie Valentina, Clara Maria e Silvia, la madre Maria Pia Li Mandri e il genero Roberto Cordaro. Michele Licata è accusato di auto-riciclaggio, mentre i suoi familiari di ricettazione. Per gli inquirenti, infatti, il noto imprenditore, proprio per scongiurare il pericolo di subire ulteriori sequestri, nella primavera del 2015, avrebbe tolto somme di denaro dai suoi conti correnti per versarli su quelli dei familiari fino a quel momento non indagati.

Intanto, i legali stanno preparando il ricorso in appello (i termini scadono il 10 settembre) per il processo che il 2 dicembre 2016 ha visto, davanti al gup Riccardo Alcamo, ha visto condannato Michele Licata a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere e le figlie Clara Maria e Valentina, che hanno patteggiata la pena.