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29/08/2019 06:00:00

Mafia, truffe, omicidi. A Marsala riparte la stagione dei processi

Ormai quasi conclusa la pausa estiva, a breve riprenderà la nuova stagione dei processi a Marsala. I processi più importanti, quelli che si celebrano davanti al Tribunale collegiale (quello composto da tre giudici) saranno ancora celebrati, fino al 30 settembre, nell’attuale Palazzo di Giustizia di piazza Borsellino.

Poi, dall’1 ottobre, il trasferimento nel nuovo Tribunale. E tra i processi più importanti, ci sono naturalmente quelli per fatti di mafia. Tra questi, quelli scaturiti dalle operazioni “Visir”, “Pionica” e “Anno Zero”. Il primo riguarda la “famiglia” di Marsala e vede alla sbarra degli imputati l’imprenditore edile marsalese Michele Giacalone, 49 anni, Alessandro D’Aguanno, di 28, figlio di Vincenzo D’Aguanno, già condannato in abbreviato a Palermo, e i mazaresi Andrea Antonino Alagna, di 39, e Fabrizio Vinci, di 49. I primi tre sono difesi dall'avvocato Luigi Pipitone, mentre legale di Vinci è Vincenzo Catanzaro. A sostenere l’accusa è il pm della Dda Gianluca De Leo. Il 12 settembre verrà decisa la data in cui si dovrà andare in trasferta per sentire il collaboratore di giustizia Giuseppe Sucameli, che dovrà riferire soprattutto su Vinci. Sempre per il 12 settembre è fissato l’avvio del processo “Bono Pietro + 5”.

Alla sbarra, quattro tunisini e due italiani accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sono Saber Toumi, di 41 anni, residente a Niscemi, Akrem Toumi, di 42, Moncef Berhouma, di 49, Sarra Khaterchi, di 34, Pietro Bono, di 65, e Felice Montalbano, di 60. Gli ultimi due sono di Menfi. Pm è Niccolò Volpe. A difendere gli imputati sono gli avvocati Gianni Caracci, Luisa Calamia, Accursio Gagliano e Francesco Di Giovanna. Nel 2017, Montalbano e Bono erano coinvolti nell’operazione della Guardia di finanza “Scorpion Fish”. E in quel procedimento, davanti al gup di Palermo, Montalbano ha patteggiato una condanna a tre anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione, mentre Bono è stato assolto. Il procedimento che approderà in aula in settembre ha preso le mosse dallo sbarco clandestino avvenuto lungo la costa tra Mazara e Campobello il 14 aprile 2017. Il 18 settembre, invece, inizierà un “maxi-processo” (“Di Dia Giovanni + 44”) per indennità di disoccupazione “non dovute” ottenute con raggiri.

La truffa ai danni dell’Inps è stata stimata in circa 268 mila euro. Imputati sono alcuni imprenditori e loro dipendenti (almeno sulla carta), che in concorso avrebbero chiesto e ottenuto indennità di disoccupazione tra 600 e 12 mila euro ciascuno. Gli imprenditori sono il marsalese Giovanni Di Dia, Salvatore Leggio, di Partinico, e Giuseppe Romualdo Bonafede, marsalese, ma residente a Trappeto. Al centro della vicenda c’è l’impresa edile “AGEMA srl”, di cui Di Dia, è ritenuto “promotore, costitutore ed organizzatore”. Sempre il 18 settembre, entrerà nel vivo, con la deposizione dell’ispettore di polizia Giovanni Pecoraro, il processo “Terzo Luigi + 10”. Imputati, davanti al giudice monocratico Matteo Giacalone, undici persone, mazaresi, marsalesi e palermitani, accusate di detenzione e spaccio di droga. Il procedimento è scaturito dall’operazione antidroga della polizia di Mazara “Atlantic City”. Un’indagine che nell’ottobre 2016 sfociò nell’arresto di Luigi Terzo, 43 anni, originario di Palermo, che a Mazara, in via Valdemone, gestiva la sala giochi “Atlantic City”, che per l’accusa era un centro di spaccio. Il 19 settembre, requisitoria del pm Volpe in un processo a 21 persone (“Baziliuc + 20) accusate di furti di cavi di rame.

Altri processi relativi ai centri del circondario giudiziario di Marsala si celebrano, invece, a Palermo. In alcuni casi perché gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. In altri perché il procedimento è in fase d’appello. Nel primo caso rientra il “Pionica”, che il 5 settembre prevede le dichiarazioni spontanee dell’agronomo vitese Melchiorre Leone. Davanti al gup di Palermo Filippo Lo Presti, sono processati in abbreviato otto delle 16 persone coinvolte nell’operazione antimafia “Pionica” del 12 marzo 2018, che tra i personaggi alla sbarra vede l’imprenditore alcamese Vito Nicastri, il cosiddetto “re dell’eolico”. E per il quale, a fine aprile, il pm della Dda Gianluca De Leo ha invocato ha invocato 12 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Stessa pena invocata il presunto boss di Calatafimi Girolamo Scandariato e per Melchiorre Leone. Alla sbarra c’è anche Roberto Nicastri, fratello di Vito, anche lui accusato di concorso in associazione mafiosa. Per lui, il pm ha invocato 10 anni. Come pure per il salemitano Giuseppe Bellitti. Per i partannesi Antonino, Tommaso e Virgilio Asaro, invece, richieste tra un anno e un anno e 4 mesi.

L’11 settembre, invece, sempre a Palermo, la Corte d’assise d’appello dovrebbe emettere la sentenza nel processo al presunto boss mafioso partannese Giovanni Domenico Scimonelli quale “mandante” dell’omicidio di Salvatore Lombardo, assassinato con due fucilate, a Partanna, davanti il bar “Smart Cafè”, il 21 maggio 2009. L’ucciso, un pastore con precedenti penali, aveva 47 anni. Il 17 gennaio 2018, Scimonelli è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Trapani. E anche in appello il pm Carlo Marzella ha invocato la massima pena. Ad indicare Scimonelli come colui che ordinò l’omicidio sono stati i due uomini che dopo l’arresto (novembre 2015) decisero di collaborare con la giustizia, autoaccusandosi come autori materiali del delitto: Attilio Fogazza, di Gibellina, e Nicolò Nicolosi, di Vita.

Nel 2017, Nicolosi e Fogazza (a sparare sarebbe stato il primo, mentre il secondo guidava l’auto) sono stati condannati a 16 anni di carcere ciascuno dal gup di Palermo Filippo Anfuso. Secondo l’accusa, Lombardo sarebbe stato punito per il furto di un furgone carico di merce del supermercato Despar di Partanna, di cui, all’epoca, “Mimmo” Scimonelli, condannato a 14 anni per mafia nell’appello “Ermes”, sarebbe stato gestore “di fatto”. Il 25 settembre, poi, davanti al gup di Palermo Cristina Lo Bue, proseguiranno le arringhe difensive nel processo ai 14 imputati dell’abbreviato di mafia “Anno Zero”. Per loro, il pm Francesca Dessì ha invocato 176 anni di carcere.