Quando iniziai a fare cronaca di teatro, tanti anni fa, il grande giornalista Gregorio Napoli mi incoraggiò dicendo: Quando assisti ad un’opera teatrale e la vuoi raccontare, lasciati trasportare dalle tue emozioni. Se saranno belle, sicuramente avrai assistito a qualcosa di bello.
Anche se ho cercato sempre di tenere a mente questo suo dolce consiglio, apparentemente semplice da seguire, nel tempo mi sono accorta che quando si scrive di teatro o si vuole raccontare un personaggio o un artista, questo è tutt’altro che semplice da applicare. Perché, quando decidi di dare l’ultima parola alle tue emozioni, ti chiedi se queste possano essere sincere ed obiettive per chi ha il compito di fare cronaca.
Questa domanda me la sono ripetuta anche mercoledì sera u.s., assistendo allo spettacolo scritto e diretto da Giacomo Bonagiuso, “Pina volante: Giusy Barraco a muso duro”, andato in scena nell’incanto del teatro antico di Segesta, dopo il debutto in prima assoluta nazionale di qualche sera fa, a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. E spiegherò anche il perché.
Il personaggio protagonista della storia portata sul palcoscenico dal regista castelvetranese Giacomo Bonagiuso, non è un personaggio di fantasia, e la storia raccontata non è inventata, ma reale. Perché Giusy Barraco esiste veramente. E Giusy stessa è tra gli interpreti della storia che la racconta e la porta al pubblico. Personalmente conosco Giusy Barraco da otto anni. L'ho conosciuta a Lourdes attraverso il volontariato e l'Unitalsi, e conosco la sua storia. Perché Giusy è una donna che fin dall’adolescenza vive su una sedia a rotelle per una rara forma di patologia neurodegenerativa. Una persona che ho avuto la fortuna di incrociare nel mio cammino di vita, e che come altre mi ha insegnato tanto, e lo ha fatto con il suo sorriso e con il suo esempio.
Proprio perché conosco personalmente Giusy, l'altra sera mi sono chiesta più volte se sarei stata in grado di raccontare con la giusta obiettività e lucidità quanto portato in scena. Dubbio svanito all’improvviso quando ho visto che le mie emozioni erano le stesse di chi mi sedeva vicino.
Perché quello che abbiamo vissuto insieme, mercoledì sera, è entrato nel cuore di tutti allo stesso modo. Ed è stato bello e grande.
Ho sempre desiderato far conoscere la storia di Giusy perché la sua è una storia di fede, forza, speranza, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederle di aiutarmi a raccontarla. Non so perché. Forse perché non ci si sente mai all’altezza di raccontare storie davvero grandi, ma che trasmettono vera normalità allo stesso tempo.
Stesso dubbio che ha attanagliato Giacomo Bonagiuso, da quanto mi ha detto a fine spettacolo. Scrivere questo spettacolo (la cui grande forza e bellezza sta proprio nella scrittura) gli è costata tanta fatica ed impegno, ed un lungo anno di lavoro. Perché essere sinceri e non chiudersi in schemi e preconcetti richiede davvero tanto sforzo. Soprattutto se l'intento maggiore è quello di non suscitare facile pietismo, con la facile costruzione di “santini”. Per Giacomo Bonagiuso è stata una grande sfida, vinta a pieno titolo, ed un sogno che ha realizzato insieme a Giusy.
Bonagiuso ha raccontato la storia di Giusy con grande delicatezza, ma al tempo stesso colorandola con amaro realismo: quel realismo che dietro ad una battuta che suscita apparentemente ilarità, ti colpisce poi come una frecciata, con crudele cinismo, portandoti alla fine, anche alle lacrime. Le giovani attrici Giordana Firenze e Martina Calandra sono state coloro che hanno preso per mano il pubblico accompagnandolo dentro la storia di Giusy, sin dalla sua infanzia, vestendo i panni delle sue due cuginette, e che, con occhi da bambine (che sanno essere anche pungenti e cattive, spinte dalla gelosia per la mancanza di attenzioni), hanno raccontato quello che è stata la vita di Giusy, segnata, ma anche
rigenerata dalla sua malattia.
La lingua scelta per raccontare è stata il siciliano, quando diventa un dialetto quasi arcaico, il dialetto della chiusura mentale e della grettezza.
Giusy non si è trovata a combattere soltanto contro la sua malattia, ma soprattutto ha lottato contro quello che sono le credenze ed i pregiudizi, l’ignoranza e la cattiveria verso chi è diverso. Giusy è stata una bambina, poi donna, che nella sua fragilità ha trovato la sua grande forza, e che non voleva più essere la “pietra nel pozzo", quella da nascondere agli occhi degli altri. Una donna che ha lottato per essere se stessa e non essere identificata con la sua carrozzina; per essere una lavoratrice come gli altri, con gli stessi diritti degli altri; che è riuscita ad essere campionessa nazionale di nuoto paralimpico, proprio lei che aveva paura dell’acqua, ma che nell'acqua così come in seguito nella danza, ha fatto pace con il suo corpo.
La stessa Giusy che ha trovato nella fede e nel suo grande amore verso la Madre Celeste, il suo grande rifugio e conforto. Quella Mamma verso la quale all’inizio guardava con rabbia, ma che poi ha scoperto dolcissima e tenerissima, e che vorrebbe che tutti amassero come lei.
Giusy che è riuscita ad essere donna completa, innamorandosi e diventando moglie. Giusy che non è riuscita più a camminare, ma che ha saputo imparare a volare. Così come recitano le parole in musica di Vecchioni e Guccini, sulle cui note Giusy ha danzato insieme al solare ballerino Giorgio Zichitella, chiudendo lo spettacolo, acclamata dal pubblico, e con la voglia di regalare positività, gioia e tanta speranza.
Applauditissimi per la loro bravura tutti gli interpreti di questo spettacolo, in primis Martina Calandra e Giordana Firenze nel ruolo delle cugine: splendide davvero nel saper raccontare, anche attraverso una recitazione molto fisica, in cui si sono spese totalmente. Ma merita una menzione speciale la cantante Valentina Migliore che con la sua voce ed il suo talento, ha scandito i vari momenti di questo viaggioincontro con il pubblico, accompagnata dalla musica di Maurizio Curcio.
Viaggio che presto Giusy continuerà (speriamo ancora ancora a lungo) insieme ai suoi meravigliosi compagni di scena ed al suo pubblico, “volando" verso nuove tappe e nuovi incontri. Un grande plauso, infine, meritano Rossella Giglio e Nicasio Anzelmo, rispettivamente direttrice del Parco di Segesta e direttore artistico delle Dionisiache, che con il sorriso e la semplicità, hanno accolto il sogno di Giusy, permettendo anche con un’organizzazione perfetta ed il grande aiuto della Croce rossa, che tanti disabili ed ammalati accompagnati dall'Unitalsi di Mazara del Vallo e di Trapani, potessero assistere allo spettacolo.
Enza Adriana Russo