Una cara amica lombarda, che insegna filosofia ed è molto impegnata nelle battaglie civili del nostro Paese, mi confessò ieri in tono sconsolato: “Sto scrivendo un nuovo libro, ma ormai non ci credo quasi più. A che serve oggi scrivere libri? E quanto possono incidere su una realtà politica e culturale che sembra andare comunque di male in peggio?”.
Mentre ascoltavo le sue parole, un ricordo mi affiorava alla mente. Mio padre mi raccontava che un secolo fa c'era a Marsala un parroco che aveva due giovani chierichetti un po' burloni. All'atto dell'Elevazione eucaristica, durante la Messa domenicale, i due mattacchioni, approfittando della semi sordità del buon parrìno, mentre agitavano i turiboli per spargere l'incenso avevano preso l'abitudine di scambiarsi queste frasi rituali: “Incenso perso!”, biascicava uno. “Pane perso!”, gli rispondeva l'altro, celando a fatica uno sghignazzo. Mio padre, che stando in prima fila tra i fedeli riusciva a decifrare il senso di quelle mormorazioni, un giorno prese a parte i due manigoldi e chiese loro il perché di quei sollazzi blasfemi. La risposta lo disarmò:
“A che servono pane, vino e incenso? Tanto la gente entra in chiesa a battersi il petto, ma poi ne esce cchiù tinta e fitùsa di prima!”.
Eccoci così al cuore della questione. Nel salmo 11, versetto 9, leggiamo che nelle epoche di crisi: “mentre gli empi si aggirano intorno, emergono i peggiori tra gli uomini”. Ora, nel tumulto di tali brutti pensieri, io ripenso per esempio alla figura drammatica di Stefan Zweig, che con la sua limpida fede umanistica e illuministica tentò invano negli anni '30 del secolo scorso di opporsi al delirio criminale del nazifascismo. Insieme a molti altri intellettuali dell'epoca si sforzò di costruire un argine a quella follia. Ma alla fine fu costretto all'esilio dalla sua Austria annessa al Reich hitleriano, e nel dolore della sconfitta si tolse la vita nel 1942. La sua parabola fu esemplare: pacifista appassionato, precursore profetico dell'europeismo liberal democratico, dovette assistere al trionfo dei demagoghi nazionalisti e razzisti che trascinarono il mondo nella guerra più atroce e catastrofica della storia. A cosa servirono i suoi libri, le sue conferenze, le sue bellissime parole piene di amore, preveggenza e razionalità? Pane perso, incenso perso?
I popoli sono sempre attratti dai demagoghi, si sa, anche in tempi di pace e di relativo benessere. Ma quando gli equilibri politici e sociali traballano, quando le disuguaglianze e le ingiustizie aumentano fino a livelli intollerabili, allora il fascino dei trascinatori di folle, dei venditori di fumo, esplode e travolge ogni cosa. Oggi stiamo vivendo una fase storica di questo genere. Ed ecco che emergono i peggiori, come dice il salmo. Siamo all'inizio di una traversata che si annuncia lunga, penosa, e dagli esiti assai incerti. Come se non bastasse, il nuovo, potentissimo strumento mediatico del web fornisce ai peggiori un'arma formidabile – un tempo inimmaginabile – per la diffusione dell'odio e della menzogna. Le guide a cui essi si ispirano sono abilissime nella mistificazione della verità. Ogni frase falsa e roboante che pronunciano rimbomba come il tuono nella pubblica opinione, mentre i discorsi e gli scritti degli intellettuali onesti, che invitano all'impegno della seria conoscenza e all'uso umano della razionalità, si perdono nelle nicchie sempre più ristrette di coloro che il Vangelo chiamava “costruttori di pace” e “uomini di buona volontà”.
Eppure fu lo stesso Zweig, prima di soccombere allo sconforto, a indicare la via maestra per uscire dall'incubo delle folli “soluzioni finali”. In una conferenza tenuta a Roma nel 1932 (!) si appellò agli europei affinché respingessero “la pusillanime diceria del tramonto dell'Occidente”, e trovassero l'entusiasmo e l'energia per difendere strenuamente l'ideale di una nuova Europa veramente unita, democratica, finalmente libera dal furore dei nazionalismi. E ammonì: “No, non ci sarà ancora l'Europa unita, domani, dovremo attendere forse ancora anni, decenni, forse la nostra generazione non farà in tempo a viverla. Ma – lo dico già adesso – una convinzione autentica non ha bisogno di conferme da parte della realtà per sapere di essere giusta e vera”.
Incenso perso, pane perso anche quello? Io mi ostino a credere di no, mia cara amica filosofa. E so benissimo che anche tu lo credi, forse ancora più fortemente di me. Di me che vivo in quest'isola dove la filosofia politica più diffusa è sempre quella che si riassume nel motto: “Nesci Masi e trasi Brasi”. Ma forse quel motto è anche un antidoto efficace a ogni rischiosa fede nei “salvatori della patria”. E sarebbe piaciuto un po' anche a Stefan Zweig, chissà!
Selinos